Yemen – Il Presidente Hādī e il governo si dimettono, dopo che un accordo era stato raggiunto con gli Ḥūthi

I ribelli avevano accettato di ritirarsi dalle zone della capitale quando il Presidente aveva espresso disponibilità ad accettare le richieste di condivisione del potere

Elaborazione da fonti: Al Jazeera, 22 Jan 2015 05:57 GMT; Reuters, Thu Jan 22, 2015 1:13pm EST; BBC, 21 January 2015, 13:01 GMT

Una fonte governativa ha detto che il Presidente yemenita ‘Abd Rabbuh Manṣūr Hādī (nella foto a sinistra) si è dimesso giovedì. Poco prima il Primo Ministro Khāled Mahafoudh Bahah aveva offerto le dimissioni del suo governo al Presidente, dicendo di non voler essere trascinato in un “labirinto politico non costruttivo”: un evidente riferimento ad una situazione di stallo tra Hādī e il potente movimento ḥūthi dello Yemen.

Il Presidente assediato dello Yemen aveva raggiunto un accordo con gli Ḥūthi per porre fine a uno violento scontro nella capitale Ṣan‘ā’. Il movimento sciita, dopo aver ricevuto garanzie di modifiche costituzionali e di condivisione del potere, aveva concordato mercoledì di ritirarsi dalle zone prospicienti il palazzo presidenziale e il complesso privato del Presidente Hādī, così come da una base missilistica. Fonti militari yemenite, infatti, avevano detto che gli Ḥūthi avevano conquistato senza combattere anche il collegio dell’aviazione militare vicino casa di Hādī e la base missilistica principale di Ṣan‘ā’.

In una dichiarazione rilasciata nella tarda giornata di mercoledì, Hādī aveva detto che gli Ḥūthi hanno diritto di ottenere funzioni in tutte le istituzioni statali e che la bozza di Costituzione che era stato fonte di disaccordo tra lui e il gruppo è suscettibile di modifica. Aveva anche detto che gli Ḥūthi hanno promesso di liberare subito il suo Capo di gabinetto, che tengono prigioniero da sabato. Il 17 gennaio gli Ḥūthi avevano sequestrato Aḥmed Awad bin Mubārak, Capo dello staff del Presidente, che avrebbe dovuto partecipare a una riunione per discutere la bozza. Hanno detto di essere venuti a conoscenza di “irregolarità” sia nel testo sia su come il governo stesse progettando di renderla legge.

“La bozza di Costituzione è soggetta a emendamenti, soppressioni, snellimento e integrazioni” diceva la nota di mercoledì, aggiungendo che tutte le parti avevano convenuto che le istituzioni governative e statali, le scuole e le università tornassero rapidamente al lavoro. I ribelli hanno respinto la bozza della Carta Costituzionale che creerebbe uno Stato federale di sei regioni, sebbene il piano fosse una raccomandazione della Conferenza Nazionale per il Dialogo, organismo che essi avevano abbandonato il 21 gennaio dell’anno scorso, determinandone la chiusura.

Gli Ḥūthi sono dilagati nella capitale quattro mesi fa, dopo che il Paese è precipitato in uno stato di agitazione, e sono emersi come la forza dominante nel Paese. Sembravano aver deciso di fermarsi nel rovesciamento di Hādī, forse preferendo esercitare il controllo su un leader indebolito, piuttosto che assumersi l’onere del potere.

Una fonte vicina a Hādī aveva detto che il Presidente aveva incontrato un funzionario del gruppo armato e, nonostante due giorni di battaglie campali fuori dalla sua abitazione, aveva negato i rapporti secondo cui il Capo dello Stato era agli arresti domiciliari. Dopo che martedì erano scoppiati scontri presso l’ufficio e la casa del Presidente, il leader ḥūthi ’Abdul-Malik al-Ḥūthi aveva minacciato di adottare ulteriori “misure”, a meno che Hādī non si fosse piegato alla sua richiesta di modifiche costituzionali che aumenterebbero il potere ḥūthi.

“Il Presidente Hādī è ancora nella sua abitazione. Non c’è nessun problema, può andarsene” ha detto alla Reuters Moḥammed al-Bukhaiti, membro dell’Ufficio Politico ḥūthi. Uno dei collaboratori del Primo Ministro Khāled Bahah ha detto all’agenzia di stampa Reuters che il premier ha lasciato la sua residenza ufficiale, che era stata pure circondata dai combattenti ḥūthi, per “un luogo sicuro dopo tre giorni di assedio”.

Nel Sud del Paese, regione d’origine di Hādī, funzionari locali hanno denunciato quello che loro chiamano un colpo di stato contro di lui. Hanno chiuso i porti e gli aeroporti di Aden, la principale città del Sud, e hanno chiuso le strade di accesso di terra. Gli Stati arabi del Golfo, che sostengono Hādī e si oppongono all’influenza iraniana nella regione, hanno denunciato quello che chiamano atti “terroristici” degli Ḥūthi e dei loro alleati. La potenza sciita regionale dell’Iran è stata infatti accusata di fornire sostegno finanziario e militare agli Ḥūthi, entrambe le cose da loro negate.

Gli Ḥūthi sono riusciti a raggiungere il potere in seguito al rovesciamento del leader yemenita `Alī ‘Abdullāh Saleh. In un altro incidente che ha scatenato ulteriori polemiche che coinvolgono Saleh, conversazioni telefoniche trapelate hanno indicato che Saleh stesse parlando con i ribelli ḥūthi un mese dopo che il gruppo sciita aveva assunto il controllo della capitale Ṣan‘ā’. Nella registrazione audio, ricevuta da Al Jazeera mercoledì, si sente Saleh che pare coordinare mosse militari e politiche con ’Abdul Wāḥid Abū Ras, un leader ḥūthi. L’audio è stato presumibilmente registrato in ottobre.

Hādī ha anche accusato il suo predecessore di tentare di far naufragare la transizione politica nello Yemen. Da quando ha assunto la Presidenza nel 2012, ha cercato di frenare l’influenza di Saleh, rimuovendo lealisti da posti di responsabilità nel governo e nell’Esercito.

Saleh è stato accusato dagli Stati Uniti di sostenere la presa ḥūthi di Ṣan‘ā’ “non solo per delegittimare il governo centrale, ma anche per creare sufficiente instabilità per organizzare un colpo di stato”. A novembre il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto sanzioni su di lui e su due alti leader ḥūthi per minaccia alla pace e alla stabilità dello Yemen e per ostacolo al processo politico.

Negli ultimi mesi i sostenitori di Saleh hanno proposto che il suo figlio maggiore, Aḥmed, si presenti alle elezioni in sostituzione di Hādī come Presidente.

Mercoledì scorso Saleh ha chiesto elezioni anticipate, sostenendo che votazioni presidenziali e parlamentari anticipate contribuirebbero a disinnescare l’attuale crisi politica.

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