Turchia – L’Italietta di Draghi sfida Erdoğan. Scusi, Draghi chi?

Erdoğan dittatore? Lo scivolone dell’Italiano Draghi svela i deboli legami di solidarietà tra Paesi NATO. Forse l’Alleanza Atlantica non ha i suoi fondamenti nella democrazia. Ma l’accusa non viene dagli Stati Uniti. Un’esternazione per procura?

di Glauco D’Agostino

L’evento, di per sé diplomaticamente trascurabile e ricucibile attraverso precisazioni e convocazioni di Ambasciatori, riveste connotati geo-politici rilevanti. La prudente Italia del passato, quella che riusciva a contemperare l’appartenenza ad una ferrea alleanza militare con la propria visione dei rapporti euro-mediterranei, cambia passo, e lo fa nella maniera più plateale che certo non si addice alla diplomazia. Quando Washington cambia Presidente e una nuova politica di rapporti si impone anche per gli alleati, non intende che si vada subito allo scontro con i nuovi nemici individuati, specie se questi “nemici”, per paradosso, fanno parte della stessa coalizione militare. In questo caso, la Turchia, che ha il secondo esercito più potente della NATO dopo gli Stati Uniti.

Ma la nuova Italietta di Mario Draghi intende essere più realista del Re. Così, il nuovo Presidente del Consiglio italiano, non eletto nemmeno in Parlamento e in carica sulla base del suo curriculum tecnico degno di un Premio Nobel, definisce dittatore chi da più di venti anni ha riportato alla democrazia un Paese che era abituato ai colpi di stato come normale esercizio del potere. Ma a quel tempo il buon Draghi faceva di conto come bravo amministratore presso gli uffici finanziari dello Stato. E così ha continuato anche presso le istituzioni finanziarie di livello mondiale, compreso l’ottimo servizio reso presso la Banca Centrale Europea. Cosa ne può sapere della storia della Turchia e, soprattutto, cosa ne può sapere della storia e degli interessi geo-politici italiani, se non guardarli dal punto di vista della quadratura dei conti di breve periodo? Tant’è vero che il Nostro si spinge sì ad accusare Erdoğan di comportamenti dittatoriali, ma, secondo la sua idea di diplomazia, questo autentico strafalcione si può edulcorare con la constatazione che sì, dopotutto questo rapporto con il dittatore riveste una qualche utilità. Così varando un concetto poi non tanto nuovo che il valore della democrazia si ferma dove l’utilità consiglia di soprassedere.

Erdoğan con Putin e Berlusconi all’apertura del gasdotto Blue Stream nel novembre 2005 (Presidential Press Service)

E il Partito Popolare Europeo, di cui è Presidente il polacco Donald Franciszek Tusk, attraverso il suo capogruppo al Parlamento Europeo Manfred Weber, dice che “Draghi is right, under Erdogan, Turkey has drifted far away from basic freedoms and democracy.” Forse il PPE dovrebbe volgere lo sguardo su cosa succede nella Polonia illiberale ed euro-scettica di Donald Tusk prima di assumere le vesti del moralizzatore di turno. Siamo sicuri che l’italiano Antonio Tajani, Vice Presidente del PPE, ne sia ben consapevole. Ma la realpolitik consiglia prudenza e neutralità, visto che, utilitariamente, sostiene il governo del maldestro Draghi assieme ad un fronte popolare dalla destra all’estrema sinistra parlamentare. A dire il vero, anche quella che si considera opposizione di destra si allinea al potere schiacciante di Draghi perché forse è consigliabile non opporsi troppo. Non si sa mai.

Pochi giorni fa il Presidente Draghi è stato in visita in Libia, accolto dal Primo Ministro ad interim ʿAbdul Hamid Moḥammed Dbeibah. In Libia “le aziende italiane, Eni in testa, sono nel frattempo coinvolte in programmi di medio e lungo termine“, come riporta “Il Sole 24 Ore” dell’altro ieri. Ma, come rileva Al Jazeera del 15 marzo, “Dbeibah è anche noto per il suo sostegno ai Fratelli Musulmani ed è vicino alla Turchia“. Chissà cosa ne pensa il Primo Ministro libico delle esternazioni di Draghi su Erdoğan. E sicuramente all’Eni qualcuno sarà sobbalzato, qualcun altro avrà fatto salti di gioia. Anche perché l’Ente petrolifero italiano, presumibilmente più influente di Palazzo Chigi sul piano internazionale, deve tener conto anche degli interessi italiani in Egitto. E guarda caso, lì, al Cairo, Palazzo Chigi forse vede seduto alla Presidenza un campione della democrazia e dei “basic freedoms”, per dirla alla Weber. Povero Regeni!

Se così stanno le cose, l’imprudente Italietta della pandemia farebbe bene a raffreddare i propri bollori. Non basta saper far di conto e non bastano gli slogan (peraltro malriusciti) per condurre una Nazione nella complicata dimensione internazionale, specie quando si attacca un alleato. Potrebbe essere pericoloso.

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