Sauditi divisi sull’Egitto

Libera traduzione da: Madawi Al-Rasheed* per Al-Monitor, July 30

Per l’originale in Inglese: http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2013/07/saudis-divided-over-egypt.html

La crisi egiziana continua a dividere la società saudita dopo che il Presidente eletto Moḥammed Morsi è stato deposto dai militari il 30 giugno. Mentre il governo saudita ha reso chiaro di aver sostenuto il colpo di stato e ricompensato l’Egitto con 5 miliardi di dollari, la sua società priva di diritti ha diverse opinioni sulla politica estera. Tre tendenze sono distinguibili: una appoggia la Fratellanza Musulmana, una condivide la decisione del governo e una mostra cautela nel celebrare la fine di un esperimento democratico di breve durata. Comunque, tutte sono egualmente coinvolte da questa crisi. Ma le loro accese passioni potrebbero non riguardare l’Egitto. In larga misura, le risposte saudite riflettono chiaramente una crescente tensione e polarizzazione nella stessa Arabia Saudita.

L’approvazione della Fratellanza Musulmana saudita rimane non riconosciuta nelle società ufficiali o nei partiti politici, dal momento che questi sono vietati in Arabia Saudita. Eppure, sapienti religiosi e attivisti laici noti per essere affiliati alla Fratellanza Musulmana e aderenti al suo progetto si sono affrettati a condannare il colpo di stato in Egitto e il ricco sostegno finanziario che il proprio governo ha offerto solo poche ore dopo il colpo di stato. Veterani islamisti hanno organizzato rapidamente una petizione online per raccogliere firme a sostegno del Presidente egiziano e hanno condannato l’uccisione di oltre 100 manifestanti egiziani. Il governo saudita ha chiamato gli organizzatori della petizione per un interrogatorio e ha vietato un paio di spettacoli su canali televisivi islamici. La politica estera saudita è troppo importante per essere messa in discussione dagli attivisti.

Privi di qualsiasi canale di discussione ufficiale nella sfera pubblica, gli attivisti sauditi hanno cercato rifugio nel mondo virtuale per lanciare attacchi contro il loro governo e diversi altri gruppi. Hanno condannato il partito egiziano an-Nour, che ha sostenuto il colpo di stato, perché considerato un’estensione dei salafiti sauditi, contrari all’attivismo dei Fratelli Musulmani. Hanno anche lanciato attacchi a scrittori sauditi sui media locali ufficiali che hanno festeggiato la fuoruscita di Morsi. Le battaglie di Rābiʿa al-ʿAdawiyya, dove si sono riuniti i sostenitori pro-Morsi, sono state accostate ad un altrettanto sanguinoso terreno saudita ancora virtuale.

Mentre gli islamisti sauditi continuano a chiedere il ritorno di Morsi al potere, molti scrittori locali cosiddetti liberali hanno concentrato i loro sforzi sui festeggiamenti per la fine della politica islamista non solo in Egitto, ma nella loro società. Demonizzare i Fratelli Musulmani, ingrandendo i loro errori di gestione del potere, e scrivere prematuri necrologi per l’Islam politico è diventato regolare esercizio per la stampa saudita, per i suoi media visivi e virtuali, il tutto a sostegno della politica estera saudita ufficiale. È chiaro che è stato dato un via libera ufficiale per porre fine a qualsiasi tipo di tolleranza verso la politica islamista. La maggior parte di questi attacchi riflettono la politica locale, perché l’euforia degli islamisti sauditi doveva essere contenuta dopo il successo degli islamisti in Egitto e Tunisia. La caduta degli islamisti in Egitto è stata vista come una grande vittoria che doveva essere replicata in Patria.

Eppure un terzo gruppo saudita è stato cauto. Si tratta di una piccola élite disincantata verso le pratiche di governo dei Fratelli Musulmani, ma solidali con la loro posizione ideologica. Lodando la democrazia come quadro di riferimento per il governo, avevano messo in guardia contro l’intervento militare nel processo politico e hanno condannato l’uccisione di manifestanti in Egitto, senza prendere una posizione evidente a sostegno dei Fratelli Musulmani. Tuttavia, il messaggio di questo piccolo gruppo di scrittori d’élite si è persa in mezzo alle appassionate battaglie verbali tra attivisti sauditi pro-Morsi e i loro avversari. La crisi egiziana ha lasciato i Sauditi divisi, senza alcun campo neutro da occupare.

Il coinvolgimento saudita con ciò che sta accadendo in Egitto non è nuovo, perché l’Egitto ha sempre infiammato la fantasia araba oltre i suoi confini. Nel XX secolo ha prodotto tre tendenze che hanno influenzato non solo l’Arabia Saudita, ma il resto del mondo arabo. In primo luogo, la modernità – con i suoi argomenti e dibattiti, per non parlare della sua cultura popolare – si è diffusa dall’Egitto al resto della regione, con l’Arabia Saudita che ha ricevuto la sua parte di questo sviluppo all’inizio del XX secolo. In secondo luogo, con Jamāl ‘Abd an-Nasser, il nazionalismo arabo è arrivato in Arabia Saudita dall’Egitto e ha reclutato sostenitori, tra i quali figure della regalità come Ṭalāl ibn ʿAbd al-ʿAzīz e il suo Movimento dei Liberi Principi. Il linguaggio anti-imperialista del nazionalismo arabo ha infiammato l’immaginazione di una popolazione locale, soprattutto quella dell’Ḥijāz e della Provincia orientale ricca di petrolio, ancora aderente all’identità arcaica e in cerca del suo posto in un mondo nuovo. Infine, l’ultima delle tendenze egiziane è stata l’Islamismo, che ha ispirato una nuova generazione di Sauditi, in lotta per trovare un linguaggio di opposizione che combinasse l’autenticità islamica con la mobilitazione, quest’ultima vietata nell’ambito dell’impostazione religiosa salafita locale.

Mentre i Sauditi non hanno mai cessato di ispirarsi alle esportazioni intellettuali e politiche egiziane, il loro governo ha cercato di eliminare la diffusione di idee estranee e le relative conseguenze. I suoi sapienti religiosi hanno indicato la modernità come una forma di bestemmia che conduce al secolarismo, al dubbio e alla perdita di identità musulmana. Il governo ha inizialmente utilizzato l’Islamismo per combattere il nazionalismo arabo di Nasser, considerato un residuo dell’era pre-islamica di ignoranza, per cui celebrare l’arabismo avrebbe minato l’unità dei Musulmani. Il governo saudita ha raggiunto un rapporto amichevole con l’Egitto solo dopo che Anwār as-Sādāt è arrivato al potere, ma si è sentito in dovere di boicottarlo dopo gli Accordi di Camp David del 1979. Sotto Mubārak, con l’Egitto sono state mantenute relazioni armoniose, ma di tanto in tanto tese, contro tutta una serie di nemici, tra cui l’Iran.

L’Arabia Saudita sta appoggiando il colpo di stato militare egiziano, che promette di porre fine a tutte le politiche islamiste e sollevare l’Arabia Saudita dalla minaccia di uno dei suoi movimenti islamici più popolari. Ritiene che un duro colpo per l’organizzazione egiziana dei Fratelli Musulmani indebolisca tutti i rami affiliati, distrugga la sua popolarità e, ancor più importante, concluda l’era dell’Islamismo in tutto il mondo arabo. In attesa della scomparsa definitiva dell’Islamismo, l’Arabia Saudita ha anche a sua disposizione una tendenza salafita locale che detesta i Fratelli Musulmani, considerati competitivi, divisivi e pericolosi. I Fratelli Musulmani insidiano il monopolio salafita sulla scena religiosa e politica, per non parlare delle istituzioni educative e sociali.

Eppure, il vero pericolo per l’Arabia Saudita non sono i molteplici “ismi” che Egitto ha esportato in precedenza. In realtà, uno stabile Egitto democratico sarebbe la minaccia finale che si propagherebbe in tutta la regione e costituirebbe un precedente che molti Sauditi osserverebbero con attenzione.

Fino a quando l’Egitto sarà paralizzato dalle turbolenze post-rivoluzionarie, l’Arabia Saudita può stare certa che non diventerà mai fonte di ispirazione. Una dittatura militare prolungata assicura che i Sauditi rimangano timorosi di azioni rivoluzionarie e delle loro conseguenze: da qui la determinazione del governo di continuare a sostenere il regime militare in Egitto. Un Egitto democratico sarebbe difficile da cooptare o contenere. Piuttosto che dividere l’opinione saudita, l’Egitto può quindi uniformarla.

*Madawi Al-Rasheed è visiting professor presso il Middle East Centre della London School of Economics and Political Science. Ha scritto ampiamente sulla Penisola Arabica, la migrazione araba, la globalizzazione, il trans-nazionalismo religioso e di genere. Su Twitter: @ MadawiDr

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