Palestina – Quale il prossimo passo?

Se Ḥamās ha ottenuto una vittoria a Gaza, allora è tempo di definire un finale politico che giustifichi gli attacchi del 7 ottobre

di Michael Young*

Libera traduzione da: Malcolm H. Kerr Carnegie Middle East Center, January 25th, 2024

Le immagini sono una scelta di Islamic World Analyzes

Qualunque cosa abbia fatto la guerra di Gaza, ha fatto sì che cadessero le maschere sulle intenzioni israeliane di fare serie concessioni per la pace con i Palestinesi. Mentre il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu continua a discutere con il Presidente Joe Biden su una soluzione a due Stati, il risultato è chiaro: la classe politica israeliana, in tutto il suo spettro, o si rifiuta di cedere qualsiasi terra o rimane molto riluttante a liberarsi da un modello di occupazione che prevale da oltre mezzo secolo.

Questo modello nega ai Palestinesi le loro richieste minime per un accordo con Israele. Si basa sull’offerta di un’entità interrotta, senza nessuno degli attributi di sovranità, e chiamare questa creazione uno Stato palestinese; legittimare l’annessione illegale da parte di Israele di una porzione significativa della terra araba occupata nel 1967; dare a Israele un assegno in bianco per intervenire militarmente nelle aree palestinesi; e seppellire per sempre il problema dei rifugiati palestinesi. Queste idee erano tutte, esplicitamente o implicitamente, nella tabella di marcia fondamentale per l’occupazione, il Piano Allon [il piano del laburista Yigal Allon in seguito alla conquista israeliana di territori in Siria, Giordania ed Egitto durante la Guerra dei Sei Giorni, N.d.T.].

Ma qual è la situazione sul versante palestinese? Se Ḥamās riuscirà a mantenere la popolarità guadagnata con l’attacco a Israele del 7 ottobre e se i Palestinesi saranno disposti a guardare oltre la devastazione che Israele ha causato a Gaza come conseguenza, allora sarebbe probabilmente giusto dire che Ḥamās avrà un ruolo molto più importante da svolgere nella definizione di un percorso politico per la società palestinese. Ma questo implica che l’organizzazione chiarisca quali siano le sue reali intenzioni.

Per un certo periodo Ḥamās ha ventilato l’idea di una lunga tregua con Israele – in effetti una vaga forma di pace di cui non osava pronunciare il nome. Recentemente, la leadership del partito all’estero ha fatto un ulteriore passo avanti, quando Ismā’īl Haniyeh, capo dell’Ufficio Politico di Ḥamās, ha dichiarato lo scorso 1 novembre: “Siamo pronti a negoziati politici per una soluzione a due Stati con Gerusalemme come capitale della Palestina”. Tuttavia, date le apparenti divisioni all’interno della leadership di Ḥamās, non è chiaro se la dichiarazione fosse tassativa e coinvolgesse l’intera organizzazione.

Ben poche conseguenze da Rāmallāh negli ultimi mesi. Raramente un leader palestinese è apparso così inadeguato come il Presidente dell’Autorità Palestinese Maḥmud ‘Abbās. Il piano americano per il domani di Gaza significherà quasi certamente che ‘Abbās verrà messo da parte a favore di un leader più giovane e popolare. L’Amministrazione Biden ha parlato di “Autorità Palestinese riformata”, sottintendendo la sostituzione di ‘Abbās. Il nome che si sente più spesso è quello di Marwān al-Barghūthī, che langue nelle carceri israeliane dal 2002.

‘Abbās ha anche altri problemi. Per anni gli Israeliani lo hanno indebolito e isolato, non trovando nulla di più minaccioso di un partner di pace la cui serietà li avrebbe costretti a cedere le terre occupate. Il Segretario di Stato USA Antony Blinken ha implicitamente confermato di recente il trattamento riservato da Israele ad ‘Abbās, prima di avviare colloqui con il leader palestinese: “Israele deve smettere di intraprendere iniziative che minano la capacità dei Palestinesi di governarsi in modo efficace”, ha affermato.

In Libano, nel frattempo, la Fataḥ di ‘Abbās si trova ad affrontare una dura sfida da parte di Ḥamās, soprattutto nel più grande campo profughi di ʿAin al-Ḥulwa. Il 7 ottobre ha significato molte cose, tra cui il tentativo di Ḥamās di prendere il controllo del movimento nazionale palestinese. In una certa misura potrebbe aver avuto successo, anche se presumere che si sia trattato di una debacle di Fataḥ è troppo semplice. Fataḥ gode ancora del sostegno palestinese e inoltre trae vantaggio dal fatto di essere molto più di una semplice organizzazione politica; è l’incarnazione, attraverso decenni di lotta, di uno stato d’animo palestinese e in questo senso conserva ancora una solida base nella società. Ecco perché l’opzione Barghūthī resta così allettante. È la persona ideale per rivitalizzare Fataḥ e migliorare i legami con Ḥamās in virtù della loro collaborazione in carcere, quando insieme ad altre fazioni palestinesi prepararono il cosiddetto Documento del Prigioniero [ufficialmente Documento di Conciliazione Nazionale dei Carcerati, N.d.T.] del maggio 2006, che delineava una visione di uno Stato palestinese nei Territori occupati da Israele nel 1967.

Per ora, tuttavia, c’è disordine nelle file palestinesi. Una volta interrotto il dibattito consensuale sull’insondabile brutalità di Israele, ci deve essere una discussione palestinese su ciò che il 7 ottobre sperava di ottenere. L’Amministrazione Biden ha rilanciato l’idea di una soluzione a due Stati, anche se il rifiuto di Netanyahu di sostenere un simile risultato, che rifiuta per principio e che allontanerebbe i partiti religiosi sionisti di estrema destra che lo mantengono al potere, rende difficile l’attuazione. Né il tempo è dalla parte di Biden. Il Presidente degli Stati Uniti sta entrando in un anno elettorale e avrà pochi margini di manovra per portare avanti un piano di pace post-Gaza che probabilmente fallirà comunque. La sua priorità è il cessate il fuoco, evitando una guerra regionale e assicurandosi di non uscire allo scoperto con l’aria di chi ha impedito a Israele di sconfiggere Ḥamās.

Detto questo, esiste una posizione palestinese ampiamente accettata sugli obiettivi politici perseguiti nei confronti di Israele? Il Documento del Prigioniero può costituire la base di tale posizione, ma prima di ciò è necessaria una leadership palestinese unificata per legittimare una strategia politica realistica. E siamo ancora lontani da questo.

Il 7 ottobre può aver messo in luce per molti Palestinesi che la resistenza armata potrebbe ottenere risultati, ma a quale prezzo? Quasi 30.000 Palestinesi sono stati uccisi a Gaza, vaste aree del territorio sono state sistematicamente rase al suolo dagli Israeliani, circa 2 milioni di Palestinesi vivono in condizioni spaventose, i funzionari israeliani, attuali e precedenti, parlano apertamente di pulizia etnica dei Palestinesi e anche all’interno di Ḥamās sembra esserci una sommessa battaglia per la leadership tra l’ala militare dell’organizzazione e i suoi leader fuori Gaza. Questo non è certo un piano sostenibile per la vittoria. Se il braccio armato di Ḥamās a Gaza avesse cercato di ancorare la lotta armata nella psicologia palestinese come una linea d’azione accettabile per il futuro, la risposta selvaggia di Israele, e il fatto che molti Paesi non abbiano fatto nulla per frenare gli Israeliani per settimane durante la battaglia di Gaza, dovrebbero suonare come una nota di avvertimento.

Ḥamās potrebbe trasformare quanto accaduto in una maggiore influenza all’interno delle fila palestinesi. L’organizzazione potrebbe plausibilmente riuscire ad assicurarsi una posizione nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, diventando un attore importante nei negoziati e quindi maggiormente in grado di modellarne i progressi. Ma quali sono i risultati che Ḥamās vuole? Se il 7 ottobre avrebbe dovuto fare chiarezza, ha fatto esattamente il contrario. Dare a Israele un’occasione d’oro per effettuare la pulizia etnica dei Palestinesi in Cisgiordania e a Gaza non è certo un’idea vincente. Ma se, al contrario, l’obiettivo di Ḥamās era quello di imporre un nuovo equilibrio di forze con Israele, in modo tale che i futuri negoziati possano essere più imparziali, allora spetta ad Ḥamās spiegare cosa vuole da Israele. Se Ḥamās è il vincitore a Gaza, come Yaḥyā as-Sinwār avrebbe detto ai negoziatori di Ḥamās, deve rispondere come vuole tradurre politicamente la cosa.

Ma Ḥamās ha bisogno che l’OLP raggiunga un accordo e che entrambi si uniscano finalmente attorno a una posizione negoziale reciprocamente accettabile. La violenza messa in atto dagli Israeliani crea tale apertura. Dopo aver sostenuto Israele nelle settimane successive agli attacchi del 7 ottobre, molti Paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti, hanno iniziato a modificare le loro opinioni mentre osservavano lo svolgersi della carneficina a Gaza. A livello internazionale la simpatia sta cominciando a propendere per i Palestinesi. È probabile che gli Americani pagheranno un prezzo per aver dato a Israele il margine di manovra nel perseguire il suo massacro e per aver armato gli Israeliani anche se hanno commesso violazioni dei diritti umani, motivo per cui Washington è ora più desiderosa di passare a una nuova fase che porti a un cessate il fuoco. I Palestinesi dovrebbero sfruttare questo interregno ed evitare di farsi prendere alla sprovvista dalle risoluzioni politiche a cui si oppongono.

* Michael Young è redattore anziano presso il Malcolm H. Kerr Carnegie Middle East Center di Beirut ed editore di Diwan, il blog sul Medio Oriente della Carnegie.

In precedenza, è stato opinionista e editorialista per il quotidiano libanese Daily Star. Scrive un commento quindicinale per il National di Abu Dhabi ed è autore di The Ghosts of Martyrs Square: An Eyewitness Account of Lebanon’s Life Struggle. Il libro è stato selezionato dal Wall Street Journal come uno dei dieci libri più importanti del 2010 e ha vinto il Silver Prize nel concorso a premi per libri del Washington Institute for Near East Policy del 2010.

Si è laureato all’Università Americana di Beirut e alla Johns Hopkins School of Advanced International Studies.

 

 

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