IWA MONTHLY FOCUS

IL REVIVAL ISLAMICO IN ASIA CENTRALE

Il ruolo attivo dei movimenti islamisti nella complessa area geo-strategica

di Glauco D’Agostino

L’Islamismo gioca in Asia Centrale un particolare ruolo di raccordo tra religione e società, confermando la dimensione anche socio-politica che l’Islam ricopre e smentendo le pretese di sua esclusione dai processi di partecipazione pubblica.

L’eredità dell’Unione Sovietica, che aveva compresso le libertà religiose in nome dell’ateismo di Stato, non ha compromesso l’adesione di massa ai valori islamici, se è vero che i Musulmani in Asia Centrale si distribuiscono oggi secondo le seguenti quote nazionali: il 97% in Tadzhikistan, l’89% in Türkmenistan, l’88% in Uzbekistan, l’80% in Kyrgyzstan, il 70% in Kazakhstan. Ma, al di là della pronuncia di adesione ad una fede, la presenza nella vita politica accanto ai movimenti di natura islamista rinsalda la percezione dell’Islam come “sistema integrale” a servizio della costruzione di una struttura politica caratterizzata e non soltanto di una testimonianza settaria all’interno di una società indistinta. Ovviamente, ogni movimento porta con sé la propria soluzione per stabilire ordine e giustizia secondo i precetti islamici, spaziando dal riformismo di osservanza democratica al tentativo di sovvertimento delle istituzioni correnti.

Intanto, l’azione politica islamica è condizionata dai rapporti geo-politici stabiliti in un’area a contatto con giganti militari ed economici come Russia e Cina o con situazioni interne sensibili come Iran, Afghanistan e Pakistan; o ancora in un ambiente politico con pressioni geo-strategiche esercitate da potenze extra-asiatiche, come Stati Uniti ed Unione Europea. Questo il quadro in estrema sintesi:

  • il Kazakhstan. Economia continuamente crescente, il Paese è ricco di risorse energetiche e aperto ad affari ed investimenti. È oggetto dell’interesse cinese nel settore del gas;
  • l’Uzbekistan. Attualmente Paese più popoloso dell’Asia Centrale con oltre 30 milioni di abitanti, è storicamente il motore politico e il centro della civiltà centro-asiatica, ma oggi anche sede di un contesto di disuguaglianza, corruzione e autoritarismo. Ospita le basi militari tedesca di Termez e USA di Karshi-Khanabad, quest’ultima centro logistico per i rifornimenti non militari e parte del Northern Distribution Network (NDN), che congiunge i porti del Baltico e del Caspio con l’Afghanistan attraverso Russia e Asia Centrale. Servirà nei prossimi mesi per facilitare il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan nel 2014;
  • il Türkmenistan. Repubblica laica con tendenze fortemente autocratiche, ha scelto la neutralità in politica estera, lasciandosi mano libera negli affari internazionali e contrastando le interferenze straniere nella sua economia. Ciò non ha impedito la realizzazione del gasdotto che l’unisce alla Cina e l’interesse cinese per il giacimento di gas Southern Yoloten-Osman, quello con le più grandi riserve mondiali. Potrebbe rappresentare l’origine del Trans-Afghanistan Pipeline (TAPI), il proposto gasdotto da 7,6 miliardi di dollari, finanziato dall’Asian Development Bank per trasportare in India il gas naturale del Mar Caspio attraverso Afghanistan e Pakistan;
  • il Tadzhikistan. Afflitto dalla guerra civile tra il 1992 e il 1997, ha attraversato un periodo di instabilità politica e di dipendenza dalla Russia, che tuttora vi mantiene una consistente presenza militare. Come il Kyrgyzstan, dovrebbe costituire territorio di transito del proposto gasdotto cinese proveniente dall’Iran, oltreché rappresentare oggetto dell’interesse cinese per progetti nei settori trasportistico e dello sviluppo;
  • il Kyrgyzstan. Dopo aver superato due sovvertimenti istituzionali, oggi ospita basi militari sia russe che USA. La presenza militare americana a Manas è parte della già citata rete logistica Northern Distribution Network.

Ancora, mentre Cinesi e Russi sono interessati a investimenti commerciali e sull’energia (la Cina è uno dei principali importatori di beni di consumo nella regione), anche gli Americani stanno muovendosi in questo senso, per esempio incoraggiando il Progetto CASA-1000 (Central Asia South Asia Electricity Transmission and Trade) per l’approvvigionamento energetico da Tadzhikistan e Kyrgyzstan verso Afghanistan e Pakistan, ma soprattutto funzionale ad avvicinare i Paesi dell’Asia Centrale all’Asia Meridionale, allontanandoli dall’influenza russa.

Dal punto di vista delle alleanze militari, alla Shanghai Cooperation Organization (sviluppo degli Shanghai Five – Russia, Cina, Kazakhstan, Kyrgyzstan e Tadzhikistan con la successiva adesione dell’Uzbekistan), gruppo essenzialmente anti-NATO finalizzato alla lotta al terrorismo e, in pratica, fortemente voluto dai Cinesi per la stabilità della Provincia dello Xīnjiāng a prevalente popolazione musulmana uyghura, si affianca la Collective Security Treaty Organization, promossa dalla Russia in alleanza con tutte le Repubbliche centro-asiatiche.

Ovviamente, mentre in Asia Centrale sono numerosi i problemi sociali comuni alle singole repubbliche (tra cui le insurrezioni e il terrorismo di origine afghana, la proliferazione di armi, il traffico di droga, la tratta di esseri umani, le questioni ambientali), non mancano i problemi tra Stati, come:

  • scontri etnici mortali tra Uzbeki e Kirghisi del Kyrgyzstan (i più importanti nel 1990 e 2010), con i primi che manifestano scontento nei confronti del governo dell’Uzbekistan per non ricevere alcun aiuto concreto a loro sostegno;
  • tensioni regionali in Tadzhikistan;
  • contesa per le risorse idriche tra Uzbekistan e Tadzhikistan a causa dei prevedibili effetti della Diga Rogun, alle prime fasi di costruzione nel sud del Tadzhikistan;
  • instabilità etniche oltre i confini esterni, come quelle provocate dalle popolazioni pakistane del Baluchistan e della Provincia della Frontiera Nord-Occidentale che si sono riversate nei Paesi limitrofi dell’Iran e dell’Afghanistan.

In questo contesto si inserisce la questione del revival islamico in Asia Centrale, soprattutto presente nella Valle di Ferghana, area densamente popolata e composita dal punto di vista etnico, a cavallo tra Uzbekistan, Kyrgyzstan e Tadzhikistan. La Valle, storicamente focolaio della ribellione pan-turanica dei Basmači contro i Bolsceviki nel 1918-34, è ancora oggi il motore di molti movimenti islamisti, soprattutto di quelli operanti in Uzbekistan.

Sopravvissuto nella regione ai tentativi di sopprimere le moschee, l’Islam ufficiale nella versione hanafita, tollerato e gestito dallo Stato sovietico, era riuscito a mantenere aperta la Madrasa Mir-i Arab a Bukhara, unica scuola coranica operante in tutta l’URSS, e l’Istituto Islamico Imām al-Bukhari a Taškent. L’altro Islam, quello ufficioso e “parallelo”, rinvigorito da ordini sufi come Naqshbandiyya e Qādiriyya, operava tramite l’apporto di personale femminile per la formazione islamica di base e mediante scuole underground. Forse segretamente incoraggiato dalle autorità per limitare l’influenza delle tendenze tradizionaliste locali, negli anni ’80 era emerso il neo-Wahhābismo con le predicazioni itineranti di Rahmatullāh ‘Allama e Abduwali Mirzaev, che, influenzati dalle idee di Aḥmad ibn Taymiyya, Ḥasan al-Bannā, Sayyid Quṭb e Abū ‘l-Aʿlā Mawdūdī, fondarono loro piccole scuole religiose underground e cominciarono segretamente a stampare libri islamici e a diffondere le pubblicazioni di ibn ‘Abd al-Wahhāb e Sayyid Quṭb e una vena di letteratura di contrabbando illegalmente importata da Afghanistan, Pakistan e India. In particolare, diffusero il loro insegnamento nella valle di Ferghana, dove Abduwali diresse una moschea ad Andijon. Abduwali è scomparso misteriosamente nel 1995, ma le sue prediche trovano ancora ascolto attraverso internet. Anche alcuni dei loro studenti hanno costituito una rete di moschee e madāris in Uzbekistan, Kyrgyzstan e Tadzhikistan.

Inoltre si manifestò un ripristino di collegamenti tra i discendenti dei Basmači fuggiti in Afghanistan e Arabia Saudita e le loro famiglie d’origine in Asia Centrale. La guerra in Afghanistan, in particolare, ha avuto l’effetto di collegare i Musulmani dell’Asia Centrale ai combattenti jihādisti oltreconfine, contrapponendoli, invece, ai militari musulmani reclutati dall’Armata Rossa: tra questi alcuni disertarono e spesso finirono per combattere con i loro correligionari contro i Sovietici. Questa relazione e la stessa idea di un jihād afghano, divenuto coscienza di massa della popolazione locale, ha fornito in seguito una connessione collaborativa tra alcuni gruppuscoli islamici in Afghanistan e i nuovi Stati indipendenti di Uzbekistan e Tadzhikistan.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si sono sviluppate sotto influenza estera sezioni locali di movimenti transnazionali islamici:

  • izb ut-Taḥrir al-Islami (Partito della Liberazione Islamica) (o Khalifatchilar), nato nel 1996 in Uzbekistan e diffuso soprattutto nella Valle di Ferghana e a Taškent, è un movimento d’opposizione non-violenta che si ispira al partito politico transnazionale omonimo con lo scopo di unire i Paesi musulmani in un Califfato islamico elettivo e retto dalla Sharī’a. È noto per il forte messaggio di giustizia e l’enfasi anti-corruzione, ma anche per i tentativi di alleviare la povertà attraverso progetti di beneficenza e creazione di piccole imprese. Nonostante la dura repressione specialmente in Uzbekistan, izb ut-Tarir al-Islami continua a crescere, percepita come motivata da valori e un credo religioso profondamente radicati, piuttosto che da semplice interessi particolari. In ogni caso gode di collegamenti economici e sostegno dal Medio Oriente, Afghanistan e Pakistan;
  • Akromiyya (o Akromiylar), gruppo scissionista di izb ut-Tarir al-Islami, come questo diffuso soprattutto nella Valle di Ferghana e a Taškent;
  • il Movimento Islamico dell’Uzbekistan, nato nel 1998 a Kabul influenzato dai Tālibān afghani, è riconosciuto come una delle prime organizzazioni fondamentaliste nella regione. Capeggiato dal Mullāh Tohir Abduhalilovič Yuldešev e da Jumaboi Ahmadzhanovič Xojaev (detto Juma Namangani), entrambi discepoli del neo-wahhābita Abduwali, ha come obiettivo il rovesciamento del regime del Presidente uzbeko Islom Abdug‘anievič Karimov e instaurare uno Stato Islamico. Avendo le sue origini in Afghanistan, la sua base di reclutamento e il suo funzionamento hanno acquisito carattere internazionale. Dopo la caduta dell’Emirato Islamico di Afghanistan nel 2001, si sarebbe fuso con altri gruppi uzbeki (per esempio il Partito di Rinascita Islamica dell’Uzbekistan) e centro-asiatici per formare il Movimento Islamico dell’Asia Centrale (basato in Afghanistan) e il Movimento Islamico del Turkestan Orientale (basato in Waziristan), ma subendo anche scissioni, come quella dell’Unione per il Jihād Islamico;
  • il Partito di Rinascita Islamica del Tadzhikistan, anche esso influenzato dai Tālibān afghani, attraverso gli accordi per porre fine alla guerra civile del 1992-97 ha ricercato e ottenuto il riconoscimento giuridico, conquistando la rappresentanza in Parlamento come partito di opposizione. Ha connessioni con la Jamā‘at-e-Islami del defunto eroe afghano Aḥmad Shāh Mas‘ūd, che si ispira al pensiero di Mawdūdī, il più importante pensatore islamista del sub-continente. Riceve sostegno finanziario attraverso il network sunnita di Jamā‘at-e-Islami in Pakistan, dai Fratelli Musulmani e dalle reti telematiche sponsorizzate dai Sauditi e sostegno anche ideologico dalla diaspora uzbeka in Arabia Saudita e Afghanistan, cioè dai discendenti dai Basmači esuli. L’Arabia Saudita, in particolare, ha contribuito con la costruzione di moschee e madāris in Asia Centrale;
  • il Movimento sufi pacifista del filosofo e scrittore turco Fethullah Gülen, vietato in Uzbekistan e Russia e strettamente monitorato in altri Paesi, ma particolarmente attivo nella realizzazione di progetti educativi;
  • i Fratelli Musulmani, attivi soprattutto in Tadzhikistan;
  • gli Sciiti Ismailiti dell’Āgā Khān, attraverso le attività sociali dell’Aga Khan Development Network;
  • il deobandi Tablighi Jamā‘at (Gruppo di Trasmissione della Fede), attivo soprattutto in Kyrgyzstan;
  • i Jund al-Khilāfa (Soldati del Califfato), diffusi in Kazakhstan, ma attivi anche in Afghanistan e Pakistan attraverso movimenti collegati.
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