IWA MONTHLY FOCUS

Dilemma Pakistan. Tra ambiguità del passato e apertura al futuro

di Glauco D’Agostino

A clickable map of Pakistan exhibiting its administrative units.Alcuni dei temi su cui si sta giocando la partita elettorale per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale in Pakistan rivelano la condizione di estrema fragilità del Paese e l’importanza insita nella sua posizione geo-politica, sospesa com’è, da entità islamica non araba, tra l’appartenenza territoriale all’Asia centro-meridionale e la spinta politico-religiosa verso il Medio Oriente.

Pur non aderendo alle posizioni pessimistiche formulate dall’ex funzionario della CIA Bruce Riedel, Direttore del Brookings Intelligence Project (parte del Brookings’ New Center for 21st Century Security and Intelligence), il quale prevede il collasso del Pakistan entro il 2030, tuttavia bisogna riconoscere che la situazione in cui versa il Paese asiatico induce a serie riflessioni circa il suo futuro.

Vero è che il Pakistan proviene dalla grande crescita degli anni 2000, con una media del 7% annuo di crescita del PIL che lo ha indicato come uno dei Next Eleven dopo i BRICS, ma la sua economia semi-industrializzata resta oggi alle spalle di molte di quelle dell’Asia meridionale e soprattutto dipende dalle donazioni internazionali e dai prestiti del Fondo Monetario Internazionale, che non sono più sostenibili. Inoltre, non aiutano le difficoltà in cui versa l’attuazione del South Asian Free Trade Area (SAFTA), l’accordo siglato nel 2004 a Islamabad nell’ambito del South Asian Association for Regional Cooperation e che coinvolge quasi 2 miliardi di persone tra Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. Queste difficoltà sono dovute al fatto che Islamabad ha resistito a lungo al transito dei traffici commerciali attraverso il suo territorio, soprattutto tra l’India e l’Afghanistan.

Tuttavia, la problematicità del Pakistan deriva soprattutto dalla sua complessa composizione politica, a cui concorrono tanto le forze parlamentari, quanto i movimenti fondamentalisti largamente presenti sul territorio, quanto, soprattutto, la forte influenza delle Forze Armate. A queste ultime, secondo molti analisti, appartiene il vero potere. E certo non contribuiscono a placare le polemiche sull’argomento le recenti ammissioni dell’ex-Presidente Pervez Musharraf sull’accordo segreto stretto con gli Stati Uniti in ordine agli attacchi dei droni, i quali, secondo l’attendibile New American Foundation, hanno assassinato almeno 1.990 persone nel solo Pakistan, inclusi centinaia di civili.

Dunque, ecco i principali temi sul tappeto, all’alba di una nuova legislatura che segue quella in cui per la prima volta un governo civile completa il suo mandato di 5 anni:

  • in primo luogo, il rapporto tra potere esecutivo e forze della difesa nazionale;
  • l’atteggiamento nei confronti dell’India, avversario storico per la questione del Kashmir, che si trascina dalla Prima Guerra indo-pakistana del 1947;
  • il controllo effettivo del territorio e delle frontiere, specialmente nelle Aree Tribali Federali, in Waziristan e nella Valle di Swat, senza dimenticare il nazionalismo crescente in Baluchistan;
  • le violenze settarie inter-etniche e inter-religiose che insanguinano il Paese con migliaia di vittime ogni anno.

Rispetto al primo punto, l’Esercito e l’ISI, il servizio di intelligence, sono ritenuti decisivi su questioni di importanza strategica (e quindi anche sull’atteggiamento politico da tenere con i confinanti India, Afghanistan e Iran), oltre che per la gestione dei rapporti con i Tālibān e del contrasto alle organizzazioni terroristiche. E non sono ancora svanite le ombre sui sospetti avanzati negli Stati Uniti che le Forze Armate non solo fossero a conoscenza della localizzazione (ad Abbottābād, nella Provincia di Khyber-Pakhtunkhwa) in cui viveva lo Shaykh Usāma bin Lādin all’atto della sua uccisione, ma addirittura lo proteggessero.

Le relazioni con l’India sono certo condizionate dalle datate dichiarazioni del Generale Ashfaq Parvez Kayani, Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate succeduto a Musharraf, che nel 2008 a Bruxelles avrebbe espresso la convinzione che il Pakistan non ha niente in comune con l’India, né culturalmente, né storicamente, né linguisticamente. Ma nuove prospettive sorgono dall’annuncio che il 23 aprile scorso i principali partiti politici pakistani (in primo luogo il Partito Popolare Pakistano, la Pakistan Muslim League – Nawaz,  la Pakistan Muslim League – Quaid, il Pakistan Tehrik-e-Insaf ) si sono impegnati nei loro manifesti a promuovere la pace con Nuova Dehlī. ”Della distensione progressiva con l’India beneficeranno entrambi i Paesi, se sarà centrata sulla risoluzione dei conflitti e sulla cooperazione, in particolare nel settore dell’energia” recita per esempio il manifesto del Pakistan Tehrik-e-Insaf (Movimento Pakistano per la Giustizia) di Imran Khan.

Il controllo delle frontiere riguarda certo la questione del Jammu and Kashmir, diviso in due da un confine praticamente contestato da entrambe le parti (India e Pakistan) e teatro delle operazioni di movimenti para-militari come il deobandi Harakat ul-Jihād-i-Islami (Movimento del Jihād Islamico), Harkat-ul-Mujāhidīn-al-Islami (Movimento dei Combattenti Islamici), Laškar-ĕ ṯayyiba (l’Esercito del Bene), Jaish-e-Moḥammed (Esercito di Maometto)  e Ḥizb-ul Mujāhidīn (Partito dei Combattenti per la Libertà); ma riguarda anche parti del territorio nazionale non completamente controllate dallo Stato, praticamente tutte quelle zone lungo la frontiera nord-occidentale con l’Afghanistan (la Durand Line), stabilita 120 anni fa all’inizio del “Grande Gioco”. Non dimentichiamo che in queste zone il Mullāh ‘Omar trovò rifugio dopo la caduta dell’Emirato Islamico; che oggi interi territori sono controllati da Baitullāh Mehsud, non a caso chiamato l’Emiro non ufficiale del Sud Waziristan, e dal suo movimento deobandi Tehrik-i-Tālibān Pakistan (Movimento dei Talebani Pakistani); e che dal 2009 nei distretti di Malakand e Swat vige legalmente l’amministrazione della Sharī’a.

La questione dei contrasti inter-religiosi coinvolge particolarmente l’ostilità di alcune componenti sunnite nei confronti delle comunità sciita e aḥmadi, che prende il nome da quello del fondatore Hadhrat Mirza Ghulām Aḥmad. Gli Sciiti, circa il 20% della popolazione pakistana, sono accusati di esercitare troppo potere e influenza, segnatamente nella regione del Punjab, e per questo subiscono attacchi soprattutto dall’organizzazione wahhābita anti-sciita Laškar-e-Jhangvi. La Aḥmadiyya, invece, dal 1974 è stata dichiarata non appartenente alla comunità musulmana da un emendamento costituzionale proposto dal Primo Ministro Zulfiqar Ali Bhutto e approvato su pressioni del movimento deobandi: quel provvedimento aveva provocato la fuoruscita dal Paese di Moḥammad Abdus Salām, un aḥmadi poi Premio Nobel per la Fisica nel 1979, e aveva dato il pretesto per persecuzioni nei confronti della comunità che a tutt’oggi non sono cessate.

Comunque, è la stessa fioritura di concezioni politico-religiose storicamente affermatesi in Pakistan a determinare una situazione di convivenza difficile e tormentata. Vogliamo ricordare che Muḥammad ‘Alī Jinnah, ufficialmente riconosciuto in Patria come Quaid-e-Azam (il Grande Capo) o Baba-e-Qaum (Padre della Nazione), era uno sciita a capo di una Nazione in maggioranza sunnita; ma anche che Karachi ha dato i natali a Sultan Maḥommed Shāh, III Āgā Khān e 48° Imām Nizarita; che a Lahore nasce la Jamā‘at-e-Islami (Blocco Islamico), il movimento teo-democratico di Shaykh Syed Abū ‘l-Aʿlā Mawdūdī; e che è in Pakistan che gli afghani Gulbuddin Hekmatyar e Burhānuddīn Rabbānī fondano rispettivamente Ḥizb-e Islami (Partito Islamico) e Jamiat-e Islami Afghanistan (Blocco Islamico afghano); o anche che sempre in Pakistan nascono individualità come il Mawlānā Sufi Muḥammad, il fondatore di Tehrik-e-Nafaz-e-Sharī’at-e-Moḥammadi (Movimento per l’Applicazione della Legge Islamica), il deobandi Mawlana Haq Nawaz Jhangvi, fondatore di Sipah-e-Sahaba Pakistan, il wahhābita Riaz Basra, fondatore di Laškar-e-Jhangvi, tutti protagonisti, comunque la si pensi, della politica regionale asiatica degli ultimi anni.

L’11 maggio prossimo a contendersi i 342 seggi dell’Assemblea Nazionale saranno soprattutto tre partiti:

  • il Partito Popolare Pakistano di Bilawal Bhutto Zardari, erede della tradizione politica della madre Benazir Bhutto e del nonno Zulfiqar Ali Bhutto e soprattutto figlio dell’attuale Presidente del Pakistan Asif Ali Zardari, partito di orientamento socialista che ha la sua roccaforte nel Sindh rurale e nelle aree del Punjab meridionale;
  • la fazione della Pakistan Muslim League di Nawaz Sharif, Primo Ministro due volte tra il 1990 e il 1993 e tra il 1997 e il 1999, movimento islamico moderato che riceve supporto soprattutto nelle aree urbane del Punjab centrale;
  • il Pakistan Tehrik-e-Insaf (Movimento Pakistano per la Giustizia) dell’ex campione di cricket Imran Khan, movimento islamico democratico-nazionalista considerato il maggiore avversario della Muslim League di Nawaz

Ma, causa il recente divieto di uso della religione nella campagna elettorale, l’interesse è anche puntato sul comportamento elettorale dei soggetti politici più propriamente islamisti, quali:

  • la Jamā‘at-e-Islami (Blocco Islamico) di Syed Munawar Ḥasan, partito islamista teo-democratico contrario al liberismo, al socialismo e al laicismo;
  • la fazione della deobandi Jamā‘at ‘Ulemā’-e-Islām (Assemblea del Clero Islamico) del Mawlānā Fazal-ur-Rehman, partito socialmente conservatore ed economicamente socialista moderato, che alle elezioni del 2008 era alleato in coalizione con il Partito Popolare Pakistano;
  • la fazione della Pakistan Muslim League (Quaid-e-Azam) di Chaudhry Shujaat Ḥusayn, partito nazionalista che funge da maggiore alleato del Partito Popolare Pakistano in Punjab e Baluchistan e di cui si ricorda il sostegno al regime del Generale Pervez Musharraf;
  • la Muttahida Deeni Mahaz (Alleanza Religiosa Unita) del Mawlana Sami-ul-Ḥaqq, alleanza  fra sei partiti religiosi che si contrappongono alla politica laicista delle attuali formazioni di governo.

Tra le forze islamiste, invece, Tehrik-i-Tālibān Pakistan, il movimento deobandi dei Talebani pakistani nato alla fine del 2007 e bandito nel 2008, ha messo in guardia i cittadini dal partecipare alle elezioni.

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