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EUROPA: IL RAPPORTO EST-OVEST TRA INTEGRAZIONE E VALORI. COOPERAZIONE O ASSORBIMENTO?

di Glauco D’Agostino

Questo articolo è stato per primo pubblicato in Inglese da “Geopolitica. Revistă de Geografie Politică, Geopolitică şi Geostrategie“, Anul XXI, nr. 99 (2/2023) “PRESIUNI GEOPOLITICE II“, Editura “Top Form”, Asociaţia de Geopolitica Ion Conea, Bucureşti, 2023.

Fig. 1 – Romania: Vatra Moldoviței (Moldavia), Monastero Ortodosso di Moldovița, Chiesa dell’Annunciazione (foto dell’autore)

Sommario

Tutta l’Europa Orientale, dal Baltico al Mar Nero, dai Balcani al Caspio, rappresenta un’area di interesse strategico per le potenze che si contendono la leadership mondiale e un ponte determinante verso l’Asia.  Ufficialmente, l’Unione Europea parla di valori occidentali, democrazia e cooperazione. Il suo stesso modello di integrazione è basato su valori. Sostanzialmente, nell’Europa dell’Est in generale la percezione è che a Bruxelles abbia prevalso un sentimento di competizione nei confronti dei suoi nuovi partner piuttosto che di cooperazione e integrazione. Un fraintendimento semantico, dovuto a differenze storiche, culturali e di sensibilità. Questo impatta sull’interpretazione della funzione storica dell’Europa e del Cristianesimo come suo fondamento, sulla concezione dello Stato e sulla definizione dei diritti conseguenti. L’Occidente in genere si sente in dovere di diffondere anche ad Est una visione dei diritti di stampo individualista illuminista che confligge con i valori tradizionali organici propugnati da molte realtà europee d’Oriente. Il laicismo teorizza la separazione tra Stato e Chiesa come assunto delle istituzioni democratiche e il respingimento della religione nell’ambito privato. Ma le istituzioni religiose hanno avuto un ruolo di primo piano nel processo di costruzione nazionale ad Est, che, nel periodo post-sovietico, ha consentito di ritenerle come l’unica fonte di potere legittimo per la ricostituzione delle autorità statali.

Un altro argomento controverso riguarda l’identità nazionale e il multiculturalismo. A Bruxelles non è gradito l’atteggiamento di alcuni leaders europei, ma questo solleva la questione delle prerogative dei singoli Stati nazionali in tema di diritti e scelte culturali. A poco vale il modello dei valori da esportare, se quei valori sono interpretati in maniera dissimile a Est. L’impressione è che la nuova Unione Europea, quella allargata a molti Paesi dell’ex orbita sovietica, esprima un atteggiamento di “imperialismo liberale alla occidentale”, ma con connotati espansionistici. L’occidentalizzazione di quelle terre sta conducendo verso l’omologazione al pensiero unico, alla stessa stregua degli assunti marxisti-leninisti, sebbene con metodi e proposizioni diverse. In ogni caso, assunti non negoziabili! L’Est intasca liberismo e libertà individuali illimitate, ma anche utilitarismo, consumismo, precarietà e disuguaglianza.

Parole-chiave: Europa, Europa Orientale, Unione Europea, integrazione, cooperazione, assorbimento, valori, democrazia, diritti, Cristianesimo, religione, laicismo, identità nazionale, multiculturalismo.

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Introduzione

Fig. 2 – Romania: Bucarest, Palazzo del Patriarcato Ortodosso (foto dell’autore)

Fig. 3 – Bulgaria: Monastero Ortodosso di S. Giovanni di Rila

“L’Europa finisce là dove finisce il cristianesimo occidentale e iniziano l’islamismo e l’ortodossia”.[1] Così concepiva l’Europa Samuel Huntington, teorico delle ondate di democrazia e autore di Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Alla sua scomparsa, nel 2008, il professore di Harvard di fede democratica aveva invece fatto in tempo a vedere la Romania e la Bulgaria ortodosse entrare come Paesi membri nell’Unione Europea. Di certo non è questo l’evento che rende europei i Romeni e gli altri popoli dell’Europa Orientale. Ma il tentativo di contrapporre in chiave religiosa comunità di diversa sensibilità (come vedremo) e tuttavia radicate nelle comuni origini rivela la scarsa accortezza nel confondere le espressioni culturali dei popoli con le convenienze geo-politiche delle formazioni statuali.

Fig. 4 – Ucraina: Kiev, Monastero Ortodosso di S. Michele

Quello che non era chiaro all’americano Huntington negli anni ’90 era ben compreso dallo slavo Papa Giovanni Paolo II già negli anni ’80, quando, nella sua Enciclica Slavorum Apostoli, parlava di “unità che non è assorbimento e neppure fusione”.[2] Scontro versus unità, quindi. La domanda è se la geo-politica possa sostituirsi alla religione e alla cultura nell’interpretazione della vita dei popoli; semmai le condiziona nel breve periodo. Linguaggi diversi. Ere geo-politiche diverse. In mezzo, la caduta del Muro di Berlino. E tuttavia, il Papa slavo del cristianesimo occidentale, nel 1995, citando l’anniversario del Battesimo della Rus’ di Kiev, diceva in relazione ai concetti di Est e Ovest: “la Chiesa deve respirare con i suoi due polmoni!”[3]

Fig. 5 – Gruppi linguistici dominanti e confessioni cristiane in Europa (Fonte: Saylor Academy, 2012)

Fig. 6 – Azerbaijan: Qobustan (Daghlig Şirvan), Mausoleo di Shaykh Diri Baba (foto dell’autore)

L’Europa fino agli Urali – un’altra variante dell’idea di Giovanni Paolo II – si legge oggi nei raggruppamenti regionali degli Stati membri dell’ONU. Stati dell’Europa Orientale sono considerate tutte le terre europee ad est della Germania, fino a comprendere la Federazione Russa, i Paesi Baltici e tutti quelli Balcanici e Transcaucasici.[4] Da notare che in questo cluster di 23 Paesi complessivamente a maggioranza slava e cristiana, ben 10 appartengono ad altre etnie (baltica, ugro-finnica, di lingua romanza, caucasica, di origine turca, armena e albanese) e 3 (Albania, Azerbaijan e Bosnia ed Erzegovina) sono a maggioranza musulmana. Un’area certamente non omogenea per poterne individuare caratteri e comportamenti.

Fig. 7 – Bosnia ed Erzegovina: Sarajevo, Moschea Gazi Husrev-beg (foto dell’autore)

Il fattore geo-politico

Fig. 8 – Europa Orientale (Fonte: Saylor Academy, 2012)

Molti ricercatori distinguono tra Europa Centrale e Orientale, ma la Grecia ortodossa non è mai compresa nemmeno tra i Paesi dell’Europa Orientale. Tralasciamo il caso della Cipro ortodossa che, da Paese asiatico, è parte integrante dell’Unione Europea. L’evidenza è che il criterio che si adotta è geo-politico e, di conseguenza, sono orientali tutti i Paesi un tempo ritenuti nello spazio di influenza sovietica. Questo ragionamento conduce ad una discriminazione, forse neanche intenzionale, che fa sì che quelle nazioni siano considerate i paria dell’Europa, persino adesso che molti sono membri dell’Unione Europea e della NATO. Di questo diffuso sentimento ad Est si faceva interprete nel 2014 la scrittrice polacca Agata Pyzik, autrice di Poor but Sexy: Culture Clashes in Europe East and West: “Questa corsa verso l’occidente è una conseguenza delle antiche divisioni del continente, che hanno portato all’associazione di tutto ciò che è “occidentale” con la civiltà e la cultura e tutto ciò che è “orientale” con la barbarie”.[5]

Dunque, la geo-politica entra a piè pari nella considerazione delle nazioni come uno degli elementi di pressione, forse il più condizionante, sulle scelte di politica nazionale e internazionale. Tutta l’Europa Orientale, dal Baltico al Mar Nero, dai Balcani al Caspio, rappresenta un’area di interesse strategico per le potenze che si contendono la leadership mondiale e un ponte determinante verso l’Asia. Neanche il multilateralismo all’europea attenua le stringenti pretese di espansione economica e sociale e perfino di assorbimento culturale. In questo quadro, il progressivo allargamento verso est di Unione Europea e NATO, pur non contestato sul piano diplomatico dagli altri contendenti, non ha tenuto conto dei limiti di queste operazioni e dei margini di sicurezza dei Paesi viciniori.[6]

Fig. 9 – Polonia: Varsavia, Piazza del Castello Reale (di Shalom Alechem, 2005)

Fig. 10 – Ungheria: Budapest, Pest, Basilica Cattolica di rito romano di S. Stefano I d’Ungheria (foto dell’autore)

Comprensibile e anche opportuno l’ingresso nella U.E. nel 2004 della Slovenia, dei Paesi slavi occidentali e di quelli baltici e ugro-finnici. Già problematica sul piano geo-politico l’apertura ai Paesi rivieraschi del Mar Nero occidentale, con l’ingresso nel 2007 di Romania e Bulgaria, i primi Paesi a maggioranza ortodossa. Nel 2013 l’accesso della Croazia ha aperto a Bruxelles un varco verso gli altri Paesi dell’ex Jugoslavia. La NATO sembra fare da apripista, con l’ingresso tra i membri nel 1999 di tre Nazioni del Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria) e nel 2004 dei Paesi Baltici, Slovacchia (la quarta del Gruppo di Visegrád), Slovenia, Romania e Bulgaria. Sulla rotta balcanica, Croazia e Albania entrano nell’Alleanza Atlantica nel 2009, seguite da Montenegro e Macedonia del Nord tra il 2017 e il 2020. Escludendo le installazioni NATO, già l’Est europeo è oggi affollato di basi militari USA: tra quelle operate da Esercito, Marina Militare e Aviazione, 7 sono localizzate sulla costa occidentale del Mar Nero, 5 sul Baltico e 2 in Kosovo; il che rivela direttrici e priorità dell’azione geo-strategica della Casa Bianca nell’area.

Fig. 11 – Croazia: Zagabria, Chiesa Cattolica di S. Marco (foto dell’autore)

Dimostrando resilienza, Putin ha assistito senza battere ciglio per dieci anni all’avanzata politica e militare proveniente da ovest. L’equilibrio si frantuma nel 2008, quando il Summit NATO di Bucarest, nonostante le espresse perplessità del Cremlino, dichiara di gradire la candidatura di Ucraina e Georgia. Subito la Federazione Russa reagisce, riconoscendo gli Stati secessionisti georgiani di Abkhazija e Ossezia del Sud. Poi le vicende d’Ucraina, con la Maidan Revolution nel 2014, che Mosca interpreta come un colpo di stato, e la conseguente reazione con l’annessione della Crimea, seguita dalla contro-reazione di Kiev nei confronti del Donbass, dai falliti accordi di Minsk, fino all’attuale guerra fratricida che insanguina popoli tradizionalmente conterranei. Non ripercorreremo gli eventi fin troppo noti, perché l’intento è sempre quello di sottolineare le pressioni che l’Europa Orientale subisce su svariati fronti.

Il fattore valoriale

Ufficialmente, l’Unione Europea parla di valori occidentali, democrazia e cooperazione. Il suo stesso modello di integrazione è basato su valori. Sostanzialmente, nell’Europa dell’Est in generale la percezione è che a Bruxelles abbia prevalso un sentimento di competizione nei confronti dei suoi nuovi partner piuttosto che di cooperazione e integrazione.[7]

Fig. 12 – Bielorussia: Baránavichy (Brest), Chiesa Ortodossa delle Sante Mirofore (Fonte: https://megaconstrucciones.net/)

Gli Accordi di Associazione con Ucraina, Moldavia e Georgia, frutto dell’iniziativa Partenariato Orientale (EaP), appaiono più come attuazione di interessi geo-politici sulla rotta del Mar Nero che strumenti funzionali all’avanzamento dello sviluppo locale in senso civico ed economico. Lo stesso vale per altri ormai scomodi vicini esterni all’Unione, come la Bielorussia, indotta alla sospensione dal Partenariato Orientale nel 2021, forse perché dal 2015 è membro fondatore dell’Unione Economica Eurasiatica (EAEU) e potrebbe fare da anello di congiunzione tra Unione Europea, con cui confina attraverso tre frontiere, e Asia trans-Uralica. Nel caso della Russia, dopo la sospensione della sua partecipazione al G8 nel 2014, dall’anno successivo non è più un partner strategico dell’UE. Nel 2016, Alena Karastseleva, bielorussa di nascita e Direttore dell’Istituto per lo Sviluppo Sostenibile Globale presso l’Università di Warwick, in Inghilterra, constatava “quella che ora è vista come la competizione aperta ed ‘esclusiva’ tra l’U.E. e la Russia nella regione orientale, la cui stabilizzazione sarebbe possibile solo attraverso la loro ulteriore espansione nei territori contesi, una volta sul ‘sentiero della guerra’”.[8]

Forse c’è un corto circuito che riguarda integrazione e valori. Un fraintendimento semantico, dovuto a differenze storiche, culturali e di sensibilità. Questo impatta sull’interpretazione della funzione storica dell’Europa e del Cristianesimo come suo fondamento, sulla concezione dello Stato e sulla definizione dei diritti conseguenti.

I Criteri di Copenhagen richiedono per l’adesione alla U.E. garanzie di “democrazia, stato di diritto, diritti umani e rispetto e tutela delle minoranze, esistenza di un’economia di mercato funzionante”.[9] La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea fa riferimento a “valori universali”, “democrazia” e “stato di diritto”.[10] In merito ai diritti che ne derivano, la Carta cita la convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 e i successivi protocolli. Diamo per scontato che i 13 Stati continentali diventati membri U.E. dopo le solenni proclamazioni dei criteri e dei diritti fondamentali, rispettivamente nel 1993 e nel 2000, ne condividano gli assunti. Non è il caso di affrontare questioni giuridiche su come questi diritti siano applicati o sulle eventuali violazioni, quanto di sottolineare sostanziali diversità di vedute culturali tra alcune istituzioni statali secolarizzate e quelle religiose rispetto al tema.

Il fattore religioso

Fig. 13 – Religioni e famiglie linguistiche in Europa (di donheart, 2015)

Per quanto riguarda le religioni, in quest’area Ortodossi e Cattolici costituiscono la maggior parte della popolazione. Nonostante un significativo calo dell’appartenenza cristiana e dell’impegno religioso in tutta l’Europa occidentale e la sostanziale stabilità in Europa centrale e orientale in un vero e proprio risveglio religioso dopo il crollo dell’URSS,[11] l’Occidente in genere si sente in dovere di diffondere anche ad Est una visione dei diritti di stampo individualista illuminista che confligge con i valori tradizionali organici propugnati da molte realtà europee d’Oriente.[12] Per questo, se e quando si intenda alludere a aborto, matrimoni omosessuali, maternità surrogata e eutanasia come diritti dell’uomo, questo confligge con la coscienza della maggior parte dei cittadini dell’Est, siano essi fedeli o meno di un credo religioso.[13]

Così il Santo e Grande Sinodo della Chiesa Ortodossa del 2016 si è espresso sull’argomento:[14]

La società contemporanea approccia il matrimonio in modo laico con criteri prettamente sociologici e realistici, considerandolo una semplice forma di relazione – una tra le tante – tutte aventi diritto ad uguale validità istituzionale … L’approccio ai diritti umani da parte della Chiesa Ortodossa si concentra sul pericolo che i diritti individuali cadano nell’individualismo e in una cultura dei ‘diritti’. Una perversione di questo genere opera a scapito del contenuto sociale della libertà e porta all’arbitraria trasformazione dei diritti in pretese di felicità, nonché all’elevazione della precaria identificazione della libertà con la licenza individuale a un “valore universale” che mina le basi dei valori sociali, della famiglia, della religione, della nazione e minaccia i valori morali fondamentali.

Fig. 14 – Russia: Mosca, il Patriarca Kirill celebra la Liturgia di S. Basilio il Grande nella Cattedrale di Cristo Salvatore (Fonte: https://basilica.ro/)

Fig. 15 – Russia: Mosca, Cattedrale di Cristo Salvatore

Distinguendo tra traditsija (tradizione nel senso di consuetudine) e Predanie (Tradizione nel senso di trasmissione), Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, quando era ancora il Metropolita di Smolensk e Kaliningrad, scriveva:[15]

Intendiamo ogni deviazione dalla Predanie come una violazione della norma della fede, o eresia … Il rispetto di questa norma non solo non limita la libertà dell’uomo, ma lo protegge come il seno della madre dalla morte.

Non mancando comunque aperture di indirizzo diverso, la Chiesa Ortodossa Russa afferma che

I diritti umani non possono essere superiori ai valori del mondo spirituale … non dovrebbero entrare in conflitto con la Rivelazione Divina … Per molte persone in varie parti del mondo non sono tanto gli standard secolarizzati dei diritti umani quanto il credo e le tradizioni che hanno autorità suprema nella loro vita sociale e nelle relazioni interpersonali.[16]

Fig. 16 – Russia: Mosca, la nuova Moschea Jum’ah (della Preghiera del Venerdì) (Fonte: http://rusarab.ru/media/)

Sul fronte islamico, nel 2014 il tataro Rawil İsməğil uğlı Ğəynetdinev, all’epoca Gran Muftī del Consiglio Spirituale dei Musulmani della Regione Europea della Russia con sede a Mosca, così si esprimeva:[17]

A partire dal Rinascimento, gli Europei hanno rifiutato la fede nel Creatore, perché era per loro gravosa. La ricerca della ricchezza per guadagno personale eclissava tutto il resto, i desideri individuali erano posti al di sopra degli interessi comuni e dominava un tipo antropocentrico di pensiero. Questi sono stati chiamati valori universali e poi questi valori sono stati diffusi in tutto il mondo, anche con metodi colonialisti.

Questa differenza di approccio riguardo ai valori apre al tema dei rapporti tra Stato e istituzioni religiose, uno dei più controversi soprattutto a causa dell’impostazione ideologica che l’Occidente porta con sé come eredità del liberalismo politico, che l’Est non ha mai conosciuto. L’estremizzazione di questo concetto, il laicismo, teorizza la separazione tra Stato e Chiesa come assunto delle istituzioni democratiche e il respingimento della religione nell’ambito privato. In realtà, come affermato nel 2002 dal romeno Mihai Baciu in qualità di relatore davanti alla Commissione per la Cultura, la Scienza e l’Istruzione dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, religione e politica “non possono mai essere totalmente separate … [La religione] non può stare distante dalla sfera pubblica”.[18] Nella loro opera di espansione ad Est, Bruxelles e Washington hanno mancato di considerare “il principio di symphonia (complementarità) della leadership politica e religiosa … [che] è sempre stato al centro dell’inculturazione e dell’adattamento dell’Ortodossia alle circostanze”.[19] La complementarità comporta riconoscimento e accettazione dei reciproci ruoli di autorità (etica e spirituale da parte della Chiesa e sovranità da parte dello Stato), ma anche reciprocità di sostegno nell’atteggiamento.

Le istituzioni religiose hanno avuto un ruolo di primo piano nel processo di costruzione nazionale ad Est, ruolo che si è rinnovato nel processo di de-sovietizzazione istituzionale delle nuove nazioni dopo il 1989 e che in alcune situazioni ha consentito di ritenerle come l’unica fonte di potere legittimo per la ricostituzione delle autorità statali.[20] Si pensi alla spinta che la Chiesa Cattolica ha dato alla ricostruzione politica post-comunista della Polonia e alla funzione che la Chiesa Ortodossa ha ricoperto per la rappresentanza dei valori e delle identità nazionali in tutti gli Stati europei a maggioranza ortodossa liberati dall’influenza sovietica.

Si comprende allora l’apprensione di queste Chiese rispetto al “«libero mercato» nelle fedi” apportato da missionari religiosi esterni (Baciu, 2002) e alla penetrazione di nuovi movimenti religiosi tra cui gruppi neo-protestanti evangelici rinati (come battisti, pentecostali, avventisti e assemblee dei fratelli),[21] movimenti neo-pagani, neo-sciamanici e New Age.[22] Per quanto riguarda il primo gruppo, la formazione di specifiche Chiese pentecostali rom in Romania e Bulgaria dopo il 1991 è documentata per i rispettivi Paesi da Sorin Gog (cit.), dell’Università Babeș-Bolyai di Cluj-Napoca, Milena Benovska-Sabkova, dell’Università del Sud-Ovest di Blagoevgrad, e Velislav Altanov, dell’Accademia Bulgara delle Scienze.[23] Nel caso dei New Age, Gog afferma che la loro “spiritualità alternativa” ha penetrato persino i campi di psicologia, management, sanità, previdenza e impresa e conquistato “economisti, avvocati, insegnanti, creativi, specialisti dei servizi, personale IT, ingegneri, esperti, consulenti”, cioè il cuore pulsante degli Stati.[24]

Fig. 17 – Armenia: Tsakhkadzor (Kotayk), Monastero Apostolico Armeno di Ketcharis, Chiesa del Surp Nshan (Santo Segno della Croce) (foto dell’autore)

Fig. 18 – Estonia: Tallinn, Chiesa Battista di S. Olav II di Norvegia (foto dell’autore)

Tuttavia, l’atteggiamento degli Stati verso le istituzioni religiose è molto complesso e variegato a Est. In generale, il finanziamento statale diretto alle chiese non esiste; solo alcuni Stati con popolazione a maggioranza ortodossa fanno riferimento alla Chiesa prevalente oppure ne riconoscono per legge uno status speciale; quelli a maggioranza cattolica hanno stipulato concordati con la Santa Sede oppure hanno “chiese riconosciute”; Armenia e Moldavia vietano il proselitismo sul proprio territorio; in Estonia, dove la maggioranza della popolazione si dichiara non affiliata ad alcuna religione e il resto è comunque cristiana, le chiese con sede in altri Paesi non possono possedere beni immobiliari (Baciu, 2002).

Il fattore identitario

Fig. 19 – Europa: la religione come componente importante (o meno) dell’identità nazionale (di Milos Popovic)

Nei Paesi dell’Europa occidentale non è determinante l’identificazione religiosa, etnica o linguistica come fattore di appartenenza nazionale, ritenute caratteristiche dei Paesi a maggioranza ortodossa (Pew Research Center, 2018). Ma proprio il tema delle identità nazionali è comunque presente anche fuori dall’area di diffusione dell’Ortodossia, se è vero che il Gruppo di Visegrád, composto da Paesi dell’Europa Centrale, è spesso criticato da alcuni drappelli modernisti per le sue caratteristiche di “identità, patriottismo, memoria collettiva e tutela del territorio e dei valori”.[25] Anche Bruxelles ha sollevato dubbi sulla poca solidarietà di questi Paesi verso l’impostazione della politica europea durante la crisi migratoria del 2015[26] e sulla loro normativa in tema di multiculturalismo, identità nazionale, sistema giudiziario e persino stato di diritto.

Il principio di legalità è uno dei cardini europei espresso nella Carta dei Diritti Fondamentali e questo autorizza alcuni analisti ad eccepire sulla democraticità di questi Paesi, in primo luogo Polonia e Ungheria.[27] In particolare, a Bruxelles non è gradito l’atteggiamento del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán e destano perplessità alcune sue espressioni pronunciate nel 2018: “L’Europa centrale … ha una cultura particolare. È diversa dall’Europa occidentale”. Ancora più esplicito quando affermava “il diritto di difendere la [sua] cultura cristiana e il diritto di rifiutare l’ideologia del multiculturalismo” (Pew Research Center, 2018). Ma a Budapest non è gradito l’atteggiamento di Bruxelles quando limita le prerogative dei singoli Stati nazionali in tema di diritti e scelte culturali. Lo considera un approccio top-down che non consente partecipazione alla costruzione di un percorso comune. Il che riporta alle riflessioni di Julian Pänke, del Dipartimento di Scienze Politiche e Studi Internazionali (POLSIS) dell’Università di Birmingham, Inghilterra, in merito all’Unione Europea “come un impero liberale basato su strategie di modellazione geopolitica della gerarchia nelle relazioni centro-periferia e discorsi normativi per legittimare quell’ordine gerarchico”.[28]

È l’ennesimo corto circuito semantico dai risvolti squisitamente politici, se è vero che proprio sui postulati di democrazia e legalità l’Unione Europea basa dal 2020 quel meccanismo di condizionalità che subordina l’accesso ai finanziamenti europei al rispetto di quegli assunti.[29] In realtà, un condizionamento della politica estera dei 4 di Visegrád, stroncati come euro-scettici e ritenuti ambivalenti in ordine ai rapporti con Mosca, una sorta di “mini cavalli di Troia”.[30] Come dire, un’ulteriore pressione al limite del ricatto, esercitata da un organismo comunitario avviato sempre più verso la delegittimazione della propria credibilità. In pratica, tra i burocrati di Bruxelles è passata la linea che basta avere rapporti con il Cremlino per essere necessariamente sospettati di illiberalità e anti-democraticità. La normazione di questo sospetto, poi, potrebbe apparire, a sua volta, alquanto illiberale e anti-democratico.

Il fattore storico

Fig. 20 – La popolazione ortodossa (2012) (di David Meyer, 2013)

Russia e Ucraina accolgono gran parte della popolazione ortodossa in quest’area del sub-continente europeo.[31] La presenza della minoranza russa etnica e religiosa in Ucraina è un problema rilevante per la conclamata omogeneità del popolo ucraino in quanto fondamento della Nazione. Qui ci si limita a constatare la complessità di una terra affascinante per la sua polivalenza, ma ricca di influenze culturali che sono parte determinante della sua storia. In tema di presenza religiosa, una particolare valenza storica (ma anche geo-politica) in tutto l’Est europeo hanno acquisito le locali Chiese Cattoliche di rito orientale, chiese particolari sui iuris di rito bizantino ma in piena comunione con il Papa di Roma, competenti ciascuna per quasi tutti i Paesi slavi, Romania, Armenia e Albania. Anche l’Ucraina ha la sua Chiesa greco-cattolica, seconda solo alla Chiesa Latina per numero di fedeli, il cui riconoscimento da parte di Roma risale all’Unione di Brest del 1595, stabilita da gerarchie ortodosse di Rutenia (grosso modo le attuali Ucraina e Bielorussia) in disaccordo con l’elevazione di Mosca a Patriarcato.

Fig. 21 – La Confederazione Polacco-Lituana, 1582

Fig. 22 – Lituania: Vilnius, Chiesa Cattolica di S. Anna (foto dell’autore)

L’evento, sancito sul suolo della Confederazione Polacco-Lituana, fa comprendere come la freddezza tra Ucraini e Russi abbia radici storiche profonde, ma anche perché il legame tra Polacchi e Lituani e il loro sentimento di avversione nei confronti di Mosca perduri tutt’ora dopo la tripartizione della Confederazione da parte dell’Impero Russo, del Regno di Prussia e della Monarchia Asburgica dal 1795 fino all’indipendenza del 1918. E tuttavia, l’impronta culturale di quella tripartizione è ancora viva e la si riconosce a Vilnius (che diventò russa), a Leopoli e Cracovia (asburgiche), a Poznań e Danzica (prussiane).

Fig. 23 – Polonia: Danzica, Brama Wyżynna (Porta Alta) (di Diego Delso, 2013)

Fig. 24 – Ridistribuzione dei confini dopo la Prima Guerra Mondiale

Forse urta un po’ il nazionalismo caratteristico dell’Est europeo, ma i confini di alcune nazioni sono determinate da guerre e non da movimenti di liberazione. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la russa Vil’no diventò prima la lituana Vilnius e poi la polacca Wilno; le asburgiche Lemberg e Krakau diventarono le polacche Lwów e Kraków; e le prussiane Posen e Danzig diventarono Poznań e Gdańsk. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Unione Sovietica acquisì di nuovo Vil’no e Lvov per conto rispettivamente di Lituania e Ucraina, ma anche la tedesca Königsberg di Immanuel Kant, che da allora si chiama Kaliningrad e oggi riveste l’importanza strategica per essere una base navale militare russa sul Baltico, sebbene separata dal resto della Federazione Russa dai territori lituani e bielorussi. Sono naturalmente esempi di situazioni molto diffuse nell’Est europeo e determinate dal sovvertimento di Imperi che avevano dato stabilità al continente e non solo. Sono anche esiti di quei protocolli segreti del Patto Molotov-Ribbentrop che, oltre alle situazioni descritte per Lituania e Ucraina, finirono per consegnare Bessarabia e Bucovina del Nord all’orbita sovietica, determinando nuovi confini a vantaggio di Moldavia e Ucraina e a danno della Romania, che, a sua volta, era frutto dell’Unione con la Transilvania di Alba Iulia, prima asburgica.[32]

Fig. 25 – Europa Orientale: cambiamenti territoriali pianificati ed effettivi (1939-40) (Fonte: Sedmá Vlna)

Fig. 26 – Romania: Castello di Bran (Transilvania) (foto dell’autore)

Questa rivisitazione storica, che ha come punto focale l’asse geografico Vilnius-Lviv-Bessarabia, serve a constatare che la regione tra Baltico e Mar Nero non può essere considerata una nuova barriera di divisione tra civiltà sul modello Huntington, né una sorta di Cortina di Ferro avanzata per motivi geo-politici, quanto l’incrocio di culture storiche stratificate nei secoli e che rifiutano rigidi steccati ideologici. Qui culture formatesi nei secoli si incrociano in una difficile coesistenza fatta di orgoglio nazionale e sospetti, sedimentati su strutture statuali di nuova formazione che concepiscono etnie e lingue sulla base di confini politici contingenti e non viceversa. Queste barriere sono spesso provocate da pressioni geo-politiche che inducono contrapposizioni ed equivoci funzionali a interessi specifici. Il facile gioco del divide et impera è sempre in azione in Europa.

Fig. 27 – Ucraina: il Metropolita Epifanio, Primate della Chiesa Ortodossa dell’Ucraina (Fonte: Brewminate)

Fig. 28 – Il Patriarca Ecumenico Bartolomeo (Fonte: OrthodoxTimes)

Le Chiese non sono affatto immuni da questo contesto. Oggi in Ucraina, a parte la Chiesa Greco-Cattolica di formazione storica, l’Ortodossia è rappresentata dalla Chiesa Ortodossa dell’Ucraina e dalla Chiesa Ortodossa Ucraina (Patriarcato di Mosca), che rispecchia esattamente la situazione geo-politica del momento, ma anche richiede riflessioni sull’istituto dell’autocefalia nella Chiesa Ortodossa. Le Chiese in Ucraina erano tre fino al 2019, quando, in presenza di una guerra in Donbass, il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli ha riconosciuto l’autocefalia della Chiesa Ortodossa dell’Ucraina, fusione dell’autoproclamato Patriarcato di Kiev (ritenuto scismatico dal Patriarcato di Mosca competente per giurisdizione) e di un altro ramo autocefalo nato nel 1917 a seguito della dissoluzione dell’Impero Russo. Oltre a Constantinopoli, soltanto il Patriarcato di Alessandria e le Chiese di Cipro e Grecia hanno riconosciuto quella di Ucraina, mentre molte altre Chiese autocefale non hanno formalizzato il riconoscimento.

Fig. 29 – Bulgaria: Sofia, Cattedrale Ortodossa di Aleksandr Nevskij (Fonte: Project Hop, History of the Orthodox People)

Fig. 30 – Georgia: Tbilisi, Chiesa Ortodossa di S. Giovanni Teologo (foto dell’autore)

Per comprendere meglio la questione, bisogna risalire al 2016, quando il Patriarca Ecumenico Bartolomeo riunì a Creta il Santo e Grande Sinodo già citato, convocando i rappresentanti degli altri 3 Patriarcati storici di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme e degli altri 10 Patriarcati e Chiese autocefale riconosciute. Pochi giorni prima, la Rada ucraina aveva “votato una risoluzione con la richiesta al Patriarcato Ecumenico di approvare una chiesa nazionale indipendente sul suo territorio, al di fuori della giurisdizione di Mosca”,[33] confermando il significato politico che il Sinodo assumeva. Il risultato di questa interferenza, recepito come pressione da molti ecclesiastici, fu la mancata partecipazione delle delegazioni dei Patriarcati di Antiochia, Mosca, Bulgaria e Georgia. Cadeva così anche il riconoscimento del Sinodo, in quanto non ecumenico e da considerarsi soltanto un normale Concilio.

Fig. 31 – Estonia: Tallinn, Cattedrale Ortodossa di S. Aleksandr Nevskij (foto dell’autore)

Fig. 32 – Lettonia: Riga, Chiesa Evangelica Luterana di S. Pietro (foto dell’autore)

Già il rapporto tra il Patriarcato di Mosca e quello Ecumenico aveva cominciato a deteriorarsi da un ventennio, per il riconoscimento da parte di Costantinopoli dell’autonomia della Chiesa Ortodossa Apostolica Estone, da allora posta sotto la diretta giurisdizione del Phanar. L’argomento divenne particolarmente sensibile, considerate le origini estoni dell’allora Patriarca Alessio II, nato proprio a Tallinn. E da allora le incomprensioni hanno avuto un crescendo; e continuano ancora, visto il ripristino della Chiesa Ortodossa Lettone da parte del Parlamento lettone nel 2022.

Fig. 33 – Serbia: Belgrado, Chiesa Ortodossa di S. Sava (foto dell’autore)

In passato si erano verificati diversi episodi simili ai casi di Ucraina e Lettonia. Dal punto di vista storico e per ciò che ci riguarda, l’autocefalia, proprio per le giurisdizioni solitamente coincidenti con i confini nazionali, ha comportato negli ultimi secoli il condizionamento da parte degli Stati nazionali nascenti dallo sfaldamento degli Imperi. Per esempio, in Grecia, nella Voivodina serba, nei Principati Uniti di Moldavia e Valacchia e in Bulgaria le autocefalie sono state richieste (o garantite, come nel caso bulgaro) entro la cornice delle indipendenze contro gli Ottomani, sebbene altre siano state richieste dal clero locale, come in Georgia nel 1917 e in Albania nel 1922. Le Chiese citate sono state tutte riconosciute da Costantinopoli, ma in generale il riconoscimento resta comunque un problema, perché sono ancora controversi i limiti dell’autorità del primus inter pares in materia di giurisdizione e perché il mancato riconoscimento è spesso interpretato come ostilità verso l’indipendenza nazionale.

Tra i problemi più spinosi, la controversia tra le due Metropolie autonome di Chișinău e tutta la Moldavia, sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca, e quella di Bessarabia, riattivata nel 1992 sotto il Patriarcato di Romania, che ripropone la storica contrapposizione russo-romena su quelle terre, visto che il governo moldavo considera la Metropolia di Bessarabia un “movimento secessionista” (Baciu, 2002).

Conclusioni

La Cina guarda all’Europa come la propaggine occidentale del Continente euro-asiatico; gli Stati Uniti la considerano come la parte orientale del Mondo occidentale; la Russia come il fruitore della sua politica energetica (almeno fino alle sanzioni); l’Unione Europea come terra di espansione del liberalismo democratico; i Paesi dell’Est Europa come la sorgente del Cristianesimo; ognuno dei Paesi europei come lo strumento del proprio benessere materiale o spirituale, a seconda delle sensibilità. Tutte queste percezioni hanno in comune la visione ideologica di un messianismo profano che si traduce nell’idea di predominio. Il poco riguardo per la storia e i costumi dei popoli ha condotto alla standardizzazione dei principi e dei comportamenti, dove i vincitori di ieri e quelli di oggi hanno imposto e impongono la propria egemonia economica, politica, sociale e culturale.

Nel caso dei Paesi dell’Est europeo, la loro Storia non nasce con la caduta dell’URSS e nemmeno con l’incubo dell’occupazione comunista delle loro istituzioni e vite. Aggiungerei neanche con l’assegnazione di uno Stato a ogni Nazione, dato che il significato dell’ultimo termine è etnico e non necessariamente corrispondente a una struttura di comando istituzionale. La suddivisione dell’Europa in 55 Stati (compresi quelli esistenti di fatto, come Kosovo, Cipro del Nord, Transdnestrija, Ossezia del Sud e Abkhazija) può essere considerata una conquista di democrazia e indipendenza, ma va comparata, ai fini della stabilità del Continente, con i 32 esistenti prima della Seconda Guerra Mondiale e i 23 prima della Prima Guerra Mondiale. Come dire che le guerre portano alla moltiplicazione dei soggetti attivi nel gioco geo-politico, seguendo la strategia del divide et impera funzionale a qualcuno dei soggetti esterni all’area.

Anche la suddivisione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia rispondeva a scopi non religiosi e neanche ideologici (vista la persistenza al potere del comunista Slobodan Milošević), ma a rendere più debole la resistenza balcanica alla pressione geo-politica proveniente dall’Occidente. La feroce guerra di Jugoslavia, spacciata come guerra interna tra religioni, ha riportato il conflitto in Europa ed è servita a frantumare l’unità etnica degli Slavi del Sud con la formazione di 7 nuove entità statuali. E sempre slava era la popolazione della Cecoslovacchia, che ha subito la stessa sorte, sebbene con differenti metodi, dopo la cosiddetta Rivoluzione di velluto del 1989. Ancora una volta è stata attuata la strategia balcanica che già il Congresso di Berlino aveva concepito nel 1884-85 per mettere all’angolo gli Imperi Ottomano e Russo. Il nazionalismo ha dunque radici profonde e non ha che fare con totalitarismi e dispotismi. È la reazione, la nemesi storica, l’altra faccia della medaglia della retorica liberale e illuminista. Spesso bisogna scavare nel profondo per individuare gli aggressori e le vittime, i mandanti e gli utili idioti al loro servizio.

Più nel concreto, questo saggio individua alcune problematiche inerenti al rapporto tra Est e Ovest europeo nell’intento di stimolare un dibattito se prevalga (sic stantibus rebus o in fieri) un nesso più cooperativo oppure di predominanza mirata ad una fusione a freddo. L’impressione è che la nuova Unione Europea, quella allargata a molti Paesi dell’ex orbita sovietica (e che non fa mistero di cooptarli tutti), esprima un atteggiamento di “imperialismo liberale alla occidentale”, ma con connotati espansionistici mutuati dalla Parigi napoleonica. D’altra parte, a poco vale il modello dei valori da esportare, se quei valori sono interpretati in maniera dissimile a Est. Il paradosso è che i cittadini dell’Est sono passati dall’imposizione politica e culturale del comunismo al condizionamento (che comunque non è un’imposizione) riguardo alla condivisione di quei valori come presupposto per essere considerati liberali e democratici. Da un’ideologia ad un’altra senza poter profferire parola, anche se molti accettano questa nuova condizione perché l’Occidente porta prosperità economica e sviluppo, altro che valori!

Di certo in Occidente non hanno vissuto la tragedia del Comunismo, con il suo carattere profondamente materialista volto all’abbattimento di strutture sociali fondamentali come la famiglia e al controllo totale della vita pubblica e privata dei cittadini.[34] Non hanno avuto esperienza della virulenza della repressione e della propaganda anti-religiosa, mentre le piazze di Roma e Parigi erano inondate di bandiere rosse. Però l’Europa dell’Est è anche la Russia di Lavr Kornilov e dei samizdat, l’Ungheria del 1956 e del Venerabile József Mindszenty, la Polonia del Card. Stefan Wyszyński e di Solidarność, la Romania di Toma Arnăuțoiu e delle vittime delle purghe di massa delle gerarchie Ortodosse, la Bulgaria del Movimento Gorjani e così via. Eppure, l’occidentalizzazione di quelle terre sta conducendo verso l’omologazione al pensiero unico, alla stessa stregua degli assunti marxisti-leninisti, sebbene con metodi e proposizioni diverse. In ogni caso, assunti non negoziabili!

È naturale che il concetto di valori e democrazia abbia uno sviluppo culturale, sociale e politico diverso tra l’ancora sofferente Est e il gaudente (forse non più) Ovest. L’Est intasca liberismo e libertà individuali illimitate, ma anche utilitarismo, consumismo, precarietà e disuguaglianza. Rischia di perdere la sua Tradizione, valori spirituali e interazione sociale. Potrebbe non essere un rapporto equilibrato e cooperativo. Potrebbe somigliare ad un assorbimento culturale, sociale e politico. Non il massimo della democrazia e della liberalità.

L’Europa non si riduce alla dimensione economico-commerciale dell’Unione Europea. Papa Giovanni Paolo II parlava di comunità dello spirito, non di monete o baratti. L’Europa, non necessariamente in termini politici, si edifica su basi di simmetria tra popoli diversi e concordanza spirituale proattiva. Sorge un dubbio: le preclusioni che l’Occidente motivava durante la guerra fredda nascondevano una contrapposizione non tanto ideologica, quanto di supremazia imperiale territoriale ed economica?

Papa Giovanni Paolo II, che auspicava un continente riunito “dall’Atlantico agli Urali”, già nel 1982 da Santiago di Compostela si rivolgeva così all’Europa: “Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà … Ritrova te stessa, sii te stessa”.[35]

 

RIFERIMENTI

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[1] Samuel Phillips Huntington (Maggio 2000). Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Cap. 7 Stati guida, centri concentrici e l’ordine delle civiltà, pag. 230. Italy: Garzanti Libri. In realtà, il traduttore traduce come islamismo ciò che nella versione originale inglese era semplicemente indicato come Islam. Cfr. Samuel Phillips Huntington (1996). The clash of civilizations and the remaking of world order, Ch. 7 Core States, Concentric Circles, and Civilizational Order, p. 158. New York, NY: Simon & Schuster.

[2] Giovanni Paolo II (2 giugno 1985). Slavorum Apostoli. Cap. VII Significato e irradiazione del Millennio Cristiano nel mondo slavo. Vedi https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_19850602_slavorum-apostoli.html.

[3] Giovanni Paolo II (25 maggio 1995). Ut Unum Sint. Sull’impegno ecumenico. Cap. II I frutti del dialogo. Vedi https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25051995_ut-unum-sint.html.

[4] United Nations, Department for General Assembly and Conference Management (s.d.). Regional groups of Member States. Vedi https://www.un.org/dgacm/en/content/regional-groups, lettura effettuata il 2 marzo 2023.

[5] Agata Pyzik (20 giugno 2014). The Baltics: what’s wrong with being ‘east’ anyway? Vedi https://www.theguardian.com/world/2014/jun/20/lithuania-latvia-estonia-baltics-guardian-new-east.

[6] Velina Tchakarova (2017). Competing geopolitical approaches towards Eastern Europe. AIES (Austria Institut für Europa und Sicherheitspolitik). Vedi https://www.aies.at/download/2017/AIES-Fokus_2017-04.pdf.

[7] Cristian Nitoiu & Monika Sus (2019). Introduction: The Rise of Geopolitics in the EU’s Approach in its Eastern Neighbourhood. Geopolitics, 24(1), 1-19. doi:10.1080/14650045.2019.1544396.

[8] Elena A. Korosteleva (Settembre 2016). The EU, Russia and the Eastern region: the analytics of government for sustainable cohabitation. Cooperation and Conflict, 51(3), doi:10.1177/0010836716631778.

[9] Presidency of European Council (21-22 giugno 1993). Relations with the Countries of Central and Eastern Europe. Vedi https://www.europarl.europa.eu/enlargement/ec/pdf/cop_en.pdf.

[10] Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (18 dicembre 2000). Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. Vedi https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf.

[11] Pew Research Center (29 ottobre 2018). Eastern and Western Europeans Differ on Importance of Religion, Views of Minorities, and Key Social Issues. Vedi https://www.pewresearch.org/religion/2018/10/29/eastern-and-western-europeans-differ-on-importance-of-religion-views-of-minorities-and-key-social-issues/

[12] Anastasios Yannoulatos, Archbishop (2003). Facing the World. Orthodox Christian Essays on Global Concerns. Yonkers, New York: SVS (St Vladimir’s Seminary) Press.

[13] Glauco D’Agostino (4 luglio 2021). Fraternità Umana: Dialogo nella Diversità vs. Cosmopolitismo. Vedi https://www.islamicworld.it/wp/iwa-monthly-focus-36/

[14] Holy and Great Council (14 giugno 2016). Encyclical of the Holy and Great Council of the Orthodox Church. Vedi https://www.holycouncil.org/encyclical-holy-council.

[15] Alexander Agadjanian and Kathy Rousselet (2005). Globalization and Identity Discourse in Russian Orthodoxy. In Victor Roudometof, Alexander Agadjanian, and Jerry Pankhurst, Eastern Orthodoxy in a Global Age: Tradition Faces the Twenty-first Century, I Part East European Experiences, pagg. 29-57. Walnut Creek, CA: Altamira Press.

[16] Russian Orthodox Church, Department for External Church Relations (2008). The Russian Orthodox Church’s Basic Teaching on Human Dignity, Freedom and Rights, III. 2 Human rights in Christian worldview and in the life of society. Vedi https://old.mospat.ru/en/documents/dignity-freedom-rights/iii/

[17] Glauco D’Agostino (Giugno 2018). Tatarstan-Putin: A Crossed Challenge, Cap. 1, pag. 6. London: Glimmer Publishing.

[18] Mihai Baciu (27 marzo 2002). Religion and change in central and eastern Europe. Vedi Parliamentary Assembly of the Council of Europe, https://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/X2H-Xref-ViewHTML.asp?FileID=9678&lang=EN.

[19] François Gauthier (2022). Religious change in Orthodox-majority Eastern Europe: from Nation-State to Global-Market. Theory and Society, 51, pagg.177-210. doi:10.1007/s11186-021-09451-3.

[20] Victor Yelensky (7 marzo 2006). Globalization, Nationalism, and Orthodoxy: The Case of Ukrainian Nation Building. In V. Roudometof, A. Agadjanian, and J. Pankhurst, Eastern Orthodoxy in a Global Age, cit., pagg. 144-177.

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[23] Milena Benovska-Sabkova and Velislav Altanov (Marzo 2009). Evangelical conversion among the Roma in Bulgaria: Between capsulation and globalization. Transitions, 48(2), 133-156.

[24] Sorin Gog (Dicembre 2016). Alternative Forms of Spirituality and the Socialization of a Self-Enhancing Subjectivity: Features of the Post-Secular Religious Space in Contemporary Romania. Studia Universitatis Babes-Bolyai Sociologia, 61(2), 97-124.

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[26] Alexandr Vondra (31 maggio 2018). Cold war between Visegrad and Brussels. Vedi https://www.gisreportsonline.com/r/angry-brussels/

[27] Aliaksei Kazharski (11 maggio 2021). The Visegrád Group: an uneasy balance between East and West. Vedi European Consortium for Political Research, https://theloop.ecpr.eu/the-visegrad-group-an-uneasy-balance-between-east-and-west/

[28] Julian Pänke (2019). Liberal Empire, Geopolitics and EU Strategy: Norms and Interests in European Foreign Policy Making. Geopolitics, 24(1), 100-123. doi: 10.1080/14650045.2018.1528545.

[29] Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea (16 dicembre 2020). Regolamento (UE, Euratom) 2020/2092 relativo a un regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione. Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Vedi https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32020R2092.

[30] Stanislaw Koziej (26 luglio 2018). The Visegrad Group and Europe’s security system: a story to watch. Vedi Geopolitical Intelligence Services, https://www.gisreportsonline.com/r/visegrad-group/

[31] Pew Research Center (10 maggio 2017). Religious Belief and National Belonging in Central and Eastern Europe. Vedi https://www.pewresearch.org/religion/2017/05/10/religious-affiliation/

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