Stato Islamico – Il dissolvimento preoccupa Tel Aviv

Cade lo Stato-cuscinetto a protezione di Israele e USA e Russia forniscono lo strumento internazionale che procrastina indefinitamente la liberazione della zona di Quneiṭra occupata illegalmente dallo Stato Ebraico nel 1967

“Questa è la nostra prima indicazione che Stati Uniti e Russia siano in grado di lavorare insieme in Siria”. Sono le parole del Segretario di Stato USA, che sottolineano il nuovo concetto di diritto internazionale secondo cui due Stati stranieri si accordano per lavorare insieme sul suolo di uno Stato terzo senza il consenso del suo legittimo governo (questo riguarda certamente gli USA). Una vera e propria occupazione sotto minaccia militare di due potenze nucleari che, proprio in quanto potenze nucleari, si arrogano il diritto di entrare quando e come vogliono negli affari di un altro Paese rappresentato all’ONU. Come dire, prendiamo i trattati internazionali che regolano i rapporti tra Stati riconosciuti in sede internazionale (sia pure tra mille contraddizioni e interpretazioni unilaterali) e facciamone carta straccia in nome della supremazia nucleare. Seguendo questa logica, farebbe bene la Repubblica Islamica dell’Iran a puntare decisamente verso l’acquisizione dell’arma nucleare, quanto meno per difendersi dalle minacce di aggressione da parte di Israele, che è potenza nucleare, sebbene questo si possa dire solo nei sottoscala della Cancellerie e nell’assoluta indifferenza degli strapagati prudenti analisti internazionali (quelli dei convegni e delle conseguenti feste mondane, per intenderci).

Certo, la questione non è nuova. Alla stessa patetica pantomima abbiamo assistito quando nel 2003 il Presidente George W. Bush, alla testa di 49 Paesi nelle vesti di utili idioti seguaci delle dottrine muscolari di un “campione dei diritti umani” (i diritti di Abū Ghraib, per intenderci), invase l’Iraq illegalmente (anche secondo l’ONU) fino al punto da distruggerne gli organismi statali e sostituirle con istituzioni illegali di occupazione straniera. Di questa “liberazione”, di fatto operazione illegittima dal punto di vista del diritto internazionale e spregevole dal punto di vista etico (ma quest’ultimo punto di vista conta davvero poco per la civiltà occidentale!), sono responsabili tutti i 49 Paesi che oggi fanno finta di non avere responsabilità. Persino la debolissima Italia partecipò a questa occupazione arbitraria, nominando proprie personalità a capo delle istituzioni iraqene nella zona di Nāşirīya (casualmente zona di operazione dell’ente petrolifero nazionale), naturalmente per scopi umanitari e a difesa dei diritti umani!

Adesso che lo Stato Islamico sta per essere sconfitto soprattutto per mano degli Iraniani (quelli che secondo il grottesco Presidente USA sarebbero “terroristi”), c’è un certo nervosismo tra le Cancellerie. Dopo tutto, quello Stato che aveva osato rompere gli equilibri dell’Accordo Sykes-Picot faceva proprio comodo a tutti, per tutti i traffici possibili e immaginabili che potevano attraversarlo a vantaggio dei Paesi sviluppati, dal petrolio, al narcotraffico, alla vendita di organi umani. Ma cosa importava? Il responsabile era sempre lui, il Califfo di Raqqa. Le opinioni pubbliche del mondo potevano essere tranquillizzate. Qualsiasi disastro poteva essere attribuito a lui. E così anche i governi più ignobili sulla faccia della Terra potevano giustificare ogni nefandezza accaduta sul proprio territorio.

E ora? Quello che si proponeva il Califfo cattivo, la rottura degli equilibri dell’Accordo Sykes-Picot, sono pronti a farlo i democratici occidentali buoni. La proposta di Tillerson sulla creazione di “no-fly zones” in Siria prelude proprio alla spartizione della nazione in zone di sovranità non rispondenti al governo centrale, esattamente come già fatto in Iraq con la creazione del Kurdistan (disegnato più o meno entro i confini dell’originaria no-fly zone). Non si può dire che manchi il progetto. Ma intanto, se il Califfo perde la sua guerra sul terreno, almeno la vince (con la complicità delle grandi potenze) proprio nell’intento di rompere gli equilibri dell’Accordo Sykes-Picot. In questo, un precursore, avallato adesso da USA e Russia. Suoi nemici, suoi amici occulti? Lo dirà la Storia!

E Israele? La preoccupazione si taglia col coltello già da tempo! In effetti, la caduta di Raqqa elimina quella comoda “zona-filtro” che teneva lontano non soltanto il pericolo militare iraniano, ma soprattutto la riattivazione della memoria sull’occupazione “manu militari” e ancora una volta illegale delle Alture del Golan e del Governatorato di Quneiṭra (vedi cartina sotto). Ma, si sa! La memoria, che è un pregio del popolo ebraico, difetta ai popoli europei e occidentali. E dopotutto, lo Stato Islamico non ha mai rappresentato un pericolo per Israele. Anzi, quando qualche anno fa gruppi aderenti allo Stato Islamico hanno fatto la loro apparizione in Terra Santa, lo hanno fatto non per attaccare Israele (il loro nemico numero uno, secondo i discorsi da bar e dei convegni che contano), ma per attaccare Ḥamās. Il che la dice lunga!

Oggi Tel Aviv è interessata (e lo rende noto attraverso i suoi canali informali di propaganda e di intelligence) allo smembramento di tutti i territori confinanti con lo Stato Ebraico. Così, è favorevole ad ogni posizione che dia uno Stato a qualsiasi minoranza etnica o religiosa esistente: lo Stato dei Drusi, lo Stato degli `Alawiti, lo Stato degli Yazidi, lo Stato dei Curdi, lo Stato dei Greco-Melchiti e così via per le centinaia di minoranze esistenti. Naturalmente lo Stato Ebraico deve restare unitario. Non si sa perché nessuno, nemmeno tra gli strapagati analisti di cui sopra, abbia mai ipotizzato sulla stessa linea di pensiero uno Stato Ashkenazita, uno Stato Sefardita, uno Stato dei Mizrahim e così via.

Su questa linea di tendenza, Trump e Putin danno una mano anche a Israele, istituendo una zona di distensione nel sud-ovest della Siria, nelle regioni di Dara’a, Quneiṭra e as-Suwaydā’, ponendo le basi per la spartizione della già martoriata Siria. Complimenti! Forse per capirci qualcosa, bisognerebbe indagare sul rapporto tra i due statisti, che non è affatto chiaro: nemici, avversari, alleati, forse l’uno legata all’altro da un rapporto di dipendenza quanto meno psicologico? Ma forse sarebbe tempo perso. Il copione è sempre lo stesso da oltre 70 anni.

Il motto “Divide et impera” funziona sempre!

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